Menu Close

Instagram punta sull’e-commerce. In arrivo una nuova app di shopping online

Con 19 milioni di utenti solo in Italia, aumentati del 36% in un anno, Instagram non si accontenta. E mette in campo un nuovo progetto di e-commerce per crescere ancora di più. Il social più amato dai giovani sta pensando infatti a una nuova app per fare acquisti online. Forse perché, così come è accaduto a Facebook, sta iniziando a manifestare una tendenza “fisiologica” all’invecchiamento, tipica di tutti i servizi online. Se dopo essersi smarcata dalla capogruppo Facebook si è dimostrata molto più capace di attirare i giovani rispetto al suo concorrente, ora non è più un social per giovanissimi.

Non è (ancora) un social per “vecchi”, ma…

Anche se inizia a subire una sorta di invecchiamento la quota degli over 45 (pari al 23%) è molto inferiore rispetto a quella di Facebook, dove arriva al 37%. Inoltre, il 59% dei suoi utenti ha meno di 36 anni, mentre su Facebook gli under 36 sono il 42%.

Più in dettaglio, i minori di 18 anni su Instagram sono il 9,5%, mentre la fascia d’età più presente è quella dei 19-24enni, che copre un quinto degli utenti. I 25-29enni rappresentano invece circa il 16%, i 30-35enni circa il 13%, i 36-45enni il 18%, i 46-55enni il 14%.

Bassa, invece, la quota degli ultra 56enni (9%), che però sono raddoppiati. E crescono anche gli utenti 36-45enni (+ 42%), e i 46-55enni, cresciuti addirittura del 69%.

Le aziende con un account sono 25 milioni

Con una platea che si amplia, e una composizione (per ora) diversa da quella di Facebook, le aziende hanno drizzato le antenne, riporta AGI. Nel mondo sono 25 milioni le organizzazioni che hanno un account, di cui 2 milioni sono anche inserzioniste. E quattro utenti su cinque seguono almeno un’azienda.

Ecco perché Instagram sta pensando a un modo più strutturato di legare social ed e-commerce. Se già dal novembre 2016 aveva introdotto la possibilità di taggare nelle immagini i singoli prodotti, consentendo poi agli utenti di cliccare e acquistare direttamente dalla foto, più di recente ha avviato test analoghi nelle Storie. Il motto della funzione? Guarda, tocca, acquista. Ma ora sta pensando a una nuova app per l’e-shopping.

Fare acquisti online su Instagram

Da quanto rivela la testata hight-tech TheVerge sembra che la piattaforma stia lavorando a un’app dedicata agli acquisti online, uno strumento efficace per espandere i proventi. Non si tratterebbe di una semplice sezione interna, ma di un’applicazione che potrebbe chiamarsi IG Shopping. E il modello potrebbe essere quello di IGTV, l’app riservata ai video più lunghi accessibile da Instagram tramite un pulsante dedicato. In ogni caso, lo sviluppo di IG Shopping è ancora in corso. Aspettiamo di vedere se e quando arriverà in porto.

 

Nel 2030 la tecnologia trasformerà il lavoro, e lo renderà liquido

Quali scenari apre l’evoluzione delle tecnologie applicata al mondo del lavoro? Spesso viene messo in evidenza il rischio di un potenziale furto di figure specializzate da parte dei robot e vengono tralasciati i vantaggi di una tecnologia avanzata a disposizione della forza lavoro. Michael Page, brand di PageGroup specializzato nella selezione di professionisti qualificati di middle e top management, ha realizzato in partnership con Foresight Factory un approfondimento dedicato ai trend che modelleranno il posto di lavoro di domani. Come Bio-hacking:, blockchain, AI e robot.

Le abilità trasversali che le macchine non potranno replicare

Secondo l’analisi di Michael Page, capacità di giudizio, curiosità, sapere come muoversi in situazioni complesse e curiosità sono le competenze che le macchine non potranno replicare. Queste abilità trasversali si riveleranno il vantaggio chiave per le aziende, e secondo i recruiter di Michael Page, sono tra le caratteristiche imprescindibili per il professionista del futuro.

Si tratta appunto di competenze liquide in grado di adattarsi a diversi contesti. E questo considerando che le persone in futuro arriveranno a sviluppare da 4 a 6 carriere diverse nell’arco della propria vita.

Il curriculum del 2030 lo gestirà l’AI

Nei prossimi decenni cambierà anche la ricerca di lavoro. Il curriculum sarà uno spazio interattivo gestito dall’Intelligenza Artificiale che, come un Assistente Personale, gestirà i dati personali e i collegamenti. Le informazioni saranno conservate su base cloud e rese sicure attraverso la tecnologia blockchain, ma accessibili all’AI che potrà accedervi direttamente per valutare l’adeguatezza di un profilo in relazione a una descrizione di lavoro, e viceversa.

Bio-hacking, blockchain, robot: andare oltre l’umano

I microchip che consentono ai lavoratori di aprire porte, accedere a terminali e pagare sono già realtà. Ma questo è solo il principio dei bio-potenziamenti: il prossimo futuro prevede impianti smart, protesi ad alta performance e componenti potenziatori della memoria. Oltre ai dispositivi “indossabili”, saranno utili supporti per tenere il passo con la tecnologia.

La blockchain poi (la lunga catena di registrazione di dati duplicati attraverso milioni di macchine), avrà un impatto a lungo termine sulla futura forza lavoro destinato a essere profondo. Le relazioni peer-to-peer non saranno più così rischiose come lo sono attualmente su internet, e la capacità dei contratti smart di consentire una rivoluzione pay-as-you-go potenzierà ulteriormente la cosiddetta gig economy.

Inoltre, benché robot e AI siano destinati inevitabilmente ad assumere molte funzioni, ci sarà un cambiamento nelle interazioni tra uomini e macchine che porterà al massimo livello di efficienza. I colleghi robot, o “cobot”, si integreranno. La forza lavoro si baserà sulla coabitazione e ls cooperazione fra uomo e macchina.

La Cina diventerà una superpotenza AI?

Entro il 2030 la Cina sarà una superpotenza nel campo dell’intelligenza artificiale. Una sfida lanciata agli Stati Uniti, dato che il Celeste Impero ha superato gli Usa per numero di pubblicazioni e per la forza delle sue aziende, molte delle quali attive proprio nella Silicon Valley. Ma la scalata della Cina nel settore sta destando preoccupazione negli Usa, perché l’AI può essere utilizzata sia a scopi civili che militari

Ad annunciare la scalata è stata la stessa Cina in un rapporto del luglio 2017. E ora il Politecnico di Zurigo ha preparato un documento di analisi tramite il suo Centro studi sulla sicurezza, messo a punto dalla politologa Sophie-Charlotte Fischer.

Le aziende cinesi sbarcano nella Silicon Valley

Secondo Fischer l’ascesa della Cina nel campo dell’intelligenza artificiale è a buon punto, poiché ha acquisito le sue conoscenze nel campo non solo grazie agli articoli scientifici liberamente accessibili, ma anche al trasferimento di conoscenze da parte di ricercatori cinesi che si sono formati negli Usa. Le maggiori aziende cinesi che stanno investendo nell’intelligenza artificiale ha poi sede nella Silicon Valley, come il motore di ricerca Baidu e il sito per acquisti online Alibaba, stabilite in California con gli incentivi del governo cinese, riferisce Ansa.

Un mercato interno di 1,5 miliardi di potenziali utenti

Tuttavia, l’esperta guarda all’annuncio della Cina anche con uno sguardo critico: “i microchip più potenti per le applicazioni di intelligenza artificiale provengono ancora dagli Stati Uniti”, afferma la politologa. E questo nonostante i rapidi progressi del Paese, che punta ad azzerare il gap tecnologico con l’Occidente entro il 2020 e a far diventare la sua industria leader mondiale del settore entro il 2025, e superpotenza entro il 2030.

Inoltre, il volume del mercato delle società tecnologiche cinesi è solo il 32% di quello delle società tecnologiche americane, ma Fischer ammette che un volano potrebbe essere il mercato interno di 1,5 miliardi di potenziali utenti.

Utilizzare l’AI per mantenere la stabilità sociale

L’obiettivo dichiarato dalla Cina nel suo documento è quello però di voler utilizzare la tecnologia dell’AI per “mantenere la stabilità sociale”. Un esempio è il lancio del sistema di credito sociale, che mostra come sorveglianza e AI possano andare di pari passo: alcune città cinesi hanno infatti introdotto sistemi per valutare il comportamento delle persone utilizzando videocamere, informazioni da database governativi e dati personali da internet.

Coloro che dimostrano il tipo di comportamento incoraggiato ottengono perciò i prestiti bancari, mentre chi si comporta in modo sospetto potrebbe scoprire di non poter più lasciare il Paese. Con già 176 milioni di telecamere di sorveglianza, e altri 450 milioni in arrivo per il 2020, secondo Fischer la Cina ha il potenziale di creare una sorveglianza totale basata sull’intelligenza artificiale, sul modello del Grande Fratello di Orwell.

La giustizia organizzativa: una motivazione in più per le risorse aziendali

La capacità di motivare le risorse aziendali è al centro delle strategie messe in atto dal management per conquistare i candidati più competenti, e trattenere i dipendenti più validi. Uno di questi strumenti motivazionali è la giustizia organizzativa, ovvero la capacità dei manager di analizzare le decisioni di natura organizzativa, come la distribuzione di un premio tra colleghi, il sistema di valutazione delle performance, la definizione del budget, e la progettazione di un sistema di alleanze tra imprese, basandosi sui principi di giustizia ed equità. L’obiettivo è prevenire l’insoddisfazione nel personale e i contrasti fra gli interessi dei dipendenti e quelli dell’impresa.

I processi di selezione possono essere percepiti come iniqui

La giustizia organizzativa è un concetto basato sulla percezione di quanto equamente si venga trattati sul posto di lavoro. Nei processi di selezione molti strumenti di verifica del profilo, o delle prestazioni del candidato, possono essere percepiti come iniqui. Ovvero, non sufficientemente focalizzati sulla mansione, o parzialmente scorretti, perché non in grado di rappresentare adeguatamente la complessità dell’individuo, riferisce AdnKronos.

“Queste sensazioni – spiega Valentina Sangiorgi, Chief Hr Officer Randstad Italia – rischiano di influenzare negativamente il comportamento organizzativo del personale, con ripercussioni anche gravi per l’azienda”.

Le àncore di carriera

Per mantenere e incrementare la motivazione delle risorse umane è necessario valorizzare le potenzialità di candidati e lavoratori, cogliendone talenti, bisogni e valori. Ma non sempre i manager riescono a creare le condizioni per un’interazione soddisfacente fra le persone e l’organizzazione in cui lavorano. Uno strumento utile sono le cosiddette àncore di carriera di Edgar Schein, un questionario di autoanalisi di 40 domande con cui il candidato o il dipendente valuta la propria vita professionale, i propri talenti, le capacità, i bisogni, i valori e i comportamenti, e scoprire cosa lo motiva maggiormente in un lavoro.

“Ridurre le percezioni distorte e promuovere un clima positivo sul posto di lavoro”

Analizzare le reazioni delle persone coinvolte nelle decisioni di natura organizzativa risulta quindi importante per il successo delle organizzazioni, “perché contribuisce a ridurre le percezioni distorte – aggiunge Sangiorgi – e a promuovere un clima positivo sul posto di lavoro”.

Insomma, quanto più l’organizzazione è in grado di progettare percorsi di sviluppo coerenti con gli orientamenti delle persone coinvolte, “tanto più si alza il livello di motivazione alla vita organizzativa – continua Valentina Sangiorgi -. In quest’ottica, le ancore di carriera sono uno strumento efficace per avvicinare le aspettative dei dipendenti e quelli dell’azienda, migliorando così la soddisfazione dei lavoratori e la loro produttività”.

Il tempo libero? 6 italiani su 10 faticano a concederselo

Quello tracciato dal nuovo Osservatorio mensile Findomestic/Doxa è il ritratto di un Paese che fatica a concedersi svago e relax. Se per il 65% degli intervistati il tempo libero rappresenta un’occasione per rilassarsi e riposarsi quasi 6 italiani su 10 hanno pochissimo tempo libero, e quello che rimane lo dedicano prevalentemente alla famiglia. E i più insoddisfatti sono i 35-44enni: ben il 62% dichiara di avere troppo poco tempo libero, o di non averne affatto.

Il relax fa rima con famiglia, sport e TV

Dopo la famiglia, nella lista delle attività preferite figurano praticare sport (29,1%), guardare la TV (28,8%), leggere (27,6%), navigare su internet o usare i social media (24,7%), stare con gli amici (24,7%), dedicarsi a attività manuali o lavori creativi (17,9%).

Tra gli sportivi, il 24,6% va in palestra, il 18,5% ama camminare, il 14,6% si dedica alla corsa e il 12,3% alla bicicletta. Tra gli appassionati del fai-da-te, il 30,6% pratica il giardinaggio, il 21,9% lavora il legno e realizza piccoli interventi di muratura e il 19,6% si interessa al cucito e al lavoro a maglia.

Le donne preferiscono lo shopping e la lettura

Il 26,8% delle donne riesce a ritagliarsi non più di due ore a settimana di tempo libero, e il 7,3% non trova alcun momento per sé. Tra gli uomini, invece, solo il 3,3% afferma di non avere tempo libero a disposizione. L’indagine dimostra poi che la lettura viene preferita dalle donne rispetto agli uomini: le lettrici abituali sono infatti il 36,9%, mentre gli uomini si fermano al 20,8%. Appannaggio delle donne è anche lo shopping (18,2% contro l’11,1% degli uomini), mentre sono targati al maschile lo sport (33% uomini e 23,8% donne) e il video-gaming (7,1% uomini e 0,9% donne).

I 35-44enni sono i più indaffarati (e insoddisfatti)

In ogni caso, i più insoddisfatti sono i 35-44enni. Il 62% del campione in questa fascia di età dichiara di avere troppo poco tempo libero, o di non averne affatto. La fascia tra i 18-24 anni il 58% afferma invece di averne abbastanza o perfino molto. E se l’età è un fattore che non sembra influire in misura significativa sulla scelta degli hobby, riporta una notizia Agi, nella fotografia scattata dall’Osservatorio Findomestic a sorprendere è un dato in particolare: sono soprattutto i 55-64enni a passare il proprio tempo libero su Internet e sui social network, ben il 31,6%, contro il 21,1% dei 25-34enni.

Italiani, popolo di fotoreporter con lo smartphone

Secondo una recentissima ricerca di eDreams, agenzia globale di viaggi online, gli italiani sono primi in classifica nel preferire il cellulare alla macchina fotografica per immortalare i momenti più significativi dei loro viaggi. L’indagine è stata condotta su un campione di 10.000 persone provenienti da Italia, Spagna, Francia, Regno Unito, Portogallo e Svezia. E se il 61% degli italiani porta con sé una macchina fotografica tradizionale quando parte per le vacanze, la percentuale di viaggiatori italiani che scatta foto delle ferie principalmente con il telefonino è pari al 66%.

Nella fascia di età sopra i 55 anni la percentuale arriva al 69%

Il risultato raggiunto dai nostri connazionali sulla sessantina, poi, supera di ben 7 punti percentuali la quota registrata per i giovani tra i 18 e i 24 anni. Nella fascia di età sopra i 55 anni la percentuale dei fotoreporter con lo smartphone arriva infatti al 69%. Inoltre, il 69% di loro dichiara di non usare il proprio cellulare quando è in viaggio meno di quanto fa a casa. Al contrario, la maggioranza dei giovanissimi, dai 18 ai 24 anni, (46%), lo usa più a casa che in vacanza.

L’Italia va quindi in controtendenza rispetto ad alcuni Paesi coinvolti dalla ricerca, come Francia, Germania e Regno Unito, dove la maggioranza di chi scatta foto ricordo delle ferie dal cellulare è rappresentata dai giovanissimi.

Le caratteristiche tecniche dello smartphone più apprezzate dagli italiani in viaggio

Secondo la survey, i nostri connazionali considerano più importanti la durata della batteria e la resistenza del telefono all’acqua rispetto alla fotocamera frontale e un audio qualitativamente elevato. Le prime cinque specifiche tecniche più apprezzate dagli italiani in vacanza sono in rigoroso ordine: durata della batteria; resistenza all’acqua; durata dello smartphone; caratteristiche tecniche della fotocamera posteriore; fotocamera anteriore.

Ma dove vanno in vacanza gli italiani col telefono?

Sempre secondo la ricerca europea, il mare resta la meta prediletta dai viaggiatori di tutte le età. Percentuali dal 68% al 77% mostrano il gradimento delle spiagge assolate e del mare cristallino dai 18 anni fino a oltre i 55 anni. La seconda tipologia di vacanza preferita dagli abitanti del Bel Paese sembra essere quella della fuga in un’altra città, in Italia o fuori dai nostri confini. A gradire i cosiddetti city break sono soprattutto i sessantenni (41%) e i trentenni (37%). Ma anche i più giovani (35%) apprezzano una breve pausa dalla routine quotidiana in una vivace metropoli.

Exploit carpooling aziendale: cresce del 199% in un solo anno

In un anno i carpooler aziendali sono cresciuti del 199%, da 20.000 a 59.738. Sia i lavoratori che optano per la condivisione dell’auto per recarsi al lavoro sia i viaggi condivisi sono in costante aumento. Dal Rapporto Carpooling Aziendale 2017 elaborato da Jojob, operatore online di carpooling aziendale, emerge che i viaggi condivisi sono triplicati, passando da 16.500 ai 45.668 del 2017 (+177%), mentre risultano 1.265.607 i Km percorsi in carpooling. Una scelta che dimostra un’attenzione crescente per la mobilità sostenibile, e che ha permesso di non emettere in atmosfera 222.835 Kg di CO2, pari a un bosco di 11.148 alberi.

I vantaggi del carpooling

In Italia sono oltre 140.000 i lavoratori che scelgono di condividere il tragitto casa-lavoro. Soprattutto per la comodità, la riduzione dello stress e le chiacchiere tra colleghi. Ma anche per il risparmio sul costo dei trasporti: nel 2017 il risparmio totale, tra passeggeri e autisti, è stato di 339.383 euro. Considerando infatti i km risparmiati dai passeggeri coinvolti nell’indagine, si calcolano 257.118 euro risparmiati su base annua. A questi vanno aggiunti gli 82.265 euro risparmiati dai soli autisti, e chi ha percorso la tratta media con 4 persone (autista incluso) è arrivato a risparmiare fino a 1.821,6 euro l’anno.

Al Nord si condividono più viaggi

Il servizio di carpooling viene utilizzato in tutta Italia, con una concentrazione maggiore al Nord (50%) dove a farla da padrone è la regione Lombardia, seguita da Emilia Romagna, Piemonte e Veneto.

Al Centro si trova il 35% delle aziende che promuovono il servizio di carpooling per i propri dipendenti, con Toscana e Lazio tra le regioni più virtuose. Migliora la concentrazione nel Sud e nelle Isole, che dal 10% del 2016 sale al 15%, grazie soprattutto alla forte crescita che si è registrata da parte delle aziende in Sardegna. I bolognesi risultano i più virtuosi d’Italia in fatto di condivisione, seguiti dai colleghi di Modena e Milano. Si distinguono anche i dipendenti delle province di Torino, Firenze, Roma, Venezia, Belluno e Parma.

Le aziende italiane sono sempre più carpooler

Sono sempre di più le imprese che scelgono il carpooling aziendale come soluzione e opzione per i propri dipendenti. Attualmente, rivela l’autore della ricerca, le “sue” sono più di 1.700, di cui 160 grandi aziende: a nomi come Mutti, Bulgari, Ducati, Lavazza, Salvatore Ferragamo, Aeroporti Di Roma, OVS, Philip Morris, Consorzio Coop Nord Ovest, Saipem, Reale Group e Findomestic nell’ultimo anno si sono aggiunti, tra gli altri, EAV, Laika, Gruppo MutuiOnline, CNH Industrial, Lima Corporate, ABS Acciaierie Bertoli Safau. Il principale consorzio attivo è quello del Carnia Industrial Park, in provincia di Udine.

Nel corso del 2017 l’azienda più attiva è stata Bulgari, di cui i dipendenti hanno condiviso 22.557 viaggi, risparmiando 43.574 kg di CO2.

Sul podio delle migliori aziende anche Philip Morris (8.676 viaggi e 15.119 kg di CO2 risparmiata) e Ducati (3.164 viaggi e 5.724 kg di CO2 risparmiata).

Italiani, come ci spostiamo? Per studenti e lavoratori l’auto resta il mezzo preferito

Cambiano i tempi, cambiano gli stili di consumo, cambia anche la mobilità. Specie in alcune città, come Milano, dove si fanno scelte di qualità attente anche all’ambiente e in generale alle sostenibilità. Insomma, che sia a piedi, con i mezzi pubblici, la bici o con i sistemi di sharing, la mobilità cambia faccia. Ma resta sempre una costante: l’automobile è il mezzo più diffuso.

Anche nel 2016, molti in macchina

L’automobile è il mezzo di trasporto preferito dall’68,9% degli occupati, come conducenti, e il 37,3% di scolari e studenti, come passeggeri. Lo rileva l’edizione 2017 dell’Annuario statistico italiano dell’Istat. I mezzi di trasporto collettivo sono utilizzati in misura maggiore dagli studenti, ma la percentuale resta comunque inferiore rispetto ai mezzi privati. In generale, gli studenti si spostano di più a piedi rispetto ai lavoratori (26,6% contro l’11,4%), ma entrambi preferiscono o devono utilizzare dei mezzi di trasporto: lo fa il 72,8% degli studenti e l’87,9% degli occupati.

Gli altri mezzi per spostarsi: la bici vince sulla moto

Il 13,1% di studenti raggiunge il luogo di studio in tram o bus (contro il 5,5% di occupati), l’11% in pullman o corriera (contro il 2,0% degli occupati) mentre è più bassa l’utenza degli altri mezzi pubblici. Risicata anche la percentuale di chi opta per le due ruote, anche se studenti e lavoratori sembrano preferire la bici alla moto tra gli occupati, il 3,6% usa una moto e il 3,7% la bicicletta; tra gli studenti, il 2,0% usa la moto e il 2,4% la bicicletta.

“I dati Istat mostrano un Paese molto arretrato nelle politiche per la mobilità e ancora in balia di una tragica insicurezza stradale”. Lo afferma Alberto Fiorillo, responsabile Aree Urbane di Legambiente. Secondo i dati Istat, infatti, in Italia nel 2015 si sono registrati 174.539 incidenti stradali con lesioni a persone. E se rispetto al 2014 gli incidenti sono diminuiti dell’1,4% e i feriti dell’1,7%, le vittime sono aumentate dell’1,4%.

Cambiamenti profondi nelle città maggiori, come Milano

“Tuttavia se dall’analisi delle percentuali nazionali ci si sposta su alcune situazioni particolari si scopre che in diverse città è in atto un cambiamento profondo degli stili di mobilità: Milano, ad esempio, è sempre più la città del trasporto pubblico, dello sharing e della ciclabilità ed è il centro urbano che ha visto il più consistente calo di auto private in circolazione nel nuovo millennio” spiega Fiorillo. “Segno evidente che l’Italia non è condannata al traffico e all’inefficienza dei mezzi pubblici: dove si fanno scelte di qualità a favore dei cittadini e dell’efficienza degli spostamenti i risultati si raggiungono in tempi relativamente brevi”.

Arriva il marchio di qualità per i siti che rispettano la privacy degli utenti

Obiettivo: comunicare da subito agli utenti che i loro dati personali sono al sicuro. Ecco, in estrema sintesi, lo scopo che si pone il marchio di qualità ‘Privacy Ok’, realizzato da Federprivacy, Si tratta di uno strumento che informa gli utenti della rete sul codice di condotta in materia di privacy adottato dai diversi siti e app.

A livello globale, il 67% dei siti non informa in maniera esaustiva

La necessità di creare un marchio di qualità nasce proprio dalla portata della poca informazione in merito ai dati personali. Il Global Privacy Enforcement Network (Gpen), a seguito di un’indagine internazionale condotta da ventiquattro Autorità per la protezione dei dati personali, tra le quali anche il Garante italiano, ha infatti messo in luce che il 67% dei siti e delle app non rivela agli utenti dove sono conservati i loro dati personali. Ancora, il 51% dei siti e delle app analizzati non precisa se con chi vengono condivide le informazioni degli utenti. Oltre a queste mancanze, nel 44% dei casi agli utenti non sono nemmeno comunicate le modalità di accesso per l’esercizio dei loro diritti.

Una ricerca mondiale

Come riporta Askanews, la ricerca, che è stata svolta su 455 siti web e app di vari settori come viaggi, sanità, banche, social media, giochi d’azzardo e retail, ha evidenziato che solo il 35% delle informative sulla privacy menziona l’adozione di misure di sicurezza a protezione delle informazioni personali degli utenti. “Per contribuire a un clima di fiducia che favorisca lo sviluppo del mercato digitale, le aziende virtuose che operano in modo trasparente e lecito hanno ora l’opportunità di ottenere un marchio di qualità ed esporlo sui propri siti web e app per dare evidenza che hanno aderito al nostro codice di condotta assumendosi l’impegno vincolante di rispettarne tutte le regole” spiega Nicola Bernardi, presidente di Federprivacy.

La privacy viene certificata da un ente terzo

“Inoltre, gli utenti possono contare sul fatto che non si tratta di un semplice bollino rilasciato in maniera autoreferenziale. Infatti, le attività di assessment non vengono svolte dal nostro staff interno, ma sono state affidate all’organismo di terza parte e indipendente TÜV Italia, che assicura l’imparzialità del processo di valutazione per determinare se un sito o una app è effettivamente conforme e meritevole di fregiarsi del marchio” aggiunge ancora Bernardi.

Vigilanza continua

L’assistenza agli utenti non si esaurisce però solo nel bollino. Ci sarà infatti un comitato di vigilanza che controllerà periodicamente l’operato di siti e app e soprattutto sarà attivato uno sportello on line a disposizione degli utilizzatori della rete per inviare segnalazioni.

Piccole e medie imprese, in arrivo 100 milioni per la digitalizzazione

Dal Governo arrivano buone notizie e soprattutto fondi “reali” destinati alle aziende che vogliono investire in digitalizzazione, così da essere sempre più competitive sui mercati. Sarà infatti possibile per le micro, piccole e medie imprese di tutto il territorio nazionale presentare la domanda per ottenere un contributo in forma di Voucher per l’acquisto di hardware, software e servizi specialistici finalizzati alla digitalizzazione dei processi aziendali e all’ammodernamento tecnologico. Un’occasione preziosa, e da cogliere nei tempi previsti, per le aziende più sensibili ai cambiamenti e alle opportunità offerti dalla tecnologia.

La norma è pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale

Questa norma è in vigore in quanto è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale a delibera CIPE del 10 luglio 2017, che ha completato la dotazione finanziaria e l’ha ripartita tra le Regioni, dal 30 gennaio al 9 febbraio 2018. Come specifica il Mise, Ministero dello Sviluppo Economico, ogni impresa può beneficiare di un unico voucher di importo non superiore a 10 mila euro. Il tetto non può oltrepassare la misura massima del 50% del totale delle spese ammissibili. Entro 30 giorni dalla chiusura dello sportello, il Ministero adotterà un provvedimento cumulativo di prenotazione del voucher, su base regionale, contenente l’indicazione delle imprese e dell’importo dell’agevolazione prenotata.

Se la richiesta fosse superiore alle risorse?

Le risorse disponibili e stanziate per questa operazione ammontano a 100 milioni di euro. “Nel caso in cui l’importo complessivo dei Voucher concedibili sia superiore all’ammontare delle risorse disponibili (100 milioni di euro), queste saranno ripartite in proporzione al fabbisogno derivante dalla concessione del Voucher da assegnare a ciascuna impresa beneficiaria. Ai fini del riparto saranno considerate tutte le imprese ammissibili alle agevolazioni che avranno presentato la domanda nel periodo di apertura dello sportello, senza alcuna priorità connessa al momento della presentazione. Verificata la documentazione finale che le imprese sono tenute a presentare entro 30 giorni dalla data di ultimazione delle spese, che dovranno essere sostenute dopo la comunicazione dell’avvenuta prenotazione del contributo, il Ministero determinerà l’importo del Voucher da erogare in relazione ai titoli di spesa risultati ammissibili” spiega una nota pubblicata dall’agenzia AdnKronos.

Un riconoscimento alle imprese con il rating di legalità

Per le micro, piccole e medie imprese che hanno conseguito il rating di legalità e che sono quindi incluse nel relativo elenco dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato c’è una possibilità ulteriore. A loro è infatti destinata una riserva per la concessione del voucher nell’ambito della dotazione finanziaria complessiva.