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Migliora l’attività economica nel primo trimestre 2019

”La stima della crescita del Pil contenuta nel quadro programmatico per il 2019, pari a +0,2%, appare verosimile”: lo afferma il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo, nel corso dell’audizione presso le commissioni Bilancio di Camera e Senato, impegnate nell’esame del Def, il documento di programmazione economico finanziaria. Secondo il presidente Istat, gli ultimi dati disponibili mostrano che il recupero dell’attività industriale di inizio anno sta influenzando in modo rilevante il quadro macroeconomico del primo trimestre. Per il periodo è quindi verosimile “un miglioramento dei livelli complessivi dell’attività economica rispetto a quelli di fine 2018 – continua Blangiardo – con effetti positivi anche sulla performance economica media annua 2019”.

“Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno”

L’incremento dei prezzi, legato all’aumento dell’Iva nel 2020, invece, ”porterebbe a un effetto depressivo sui consumi – sottolinea Blangiardo – che, nel quadro delineato, potrebbe essere nell’ordine di 0,2 punti percentuali”.

Rispetto alla necessità di rilanciare gli investimenti, i provvedimenti simulati, riferiti al ripristino dei super-ammortamenti e alle modifiche della mini-Ires, “sono attesi generare una riduzione del prelievo fiscale per le imprese pari a 2,2 punti percentuali”, spiega ancora il presidente. Per quanto riguarda l’andamento del Pil, riferisce Adnkronos, ”non possiamo essere eccessivamente ottimisti però non possiamo neanche essere decisamente pessimisti cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno”, dichiara poi il presidente Blangiardo a margine dell’audizione.

”Lo scenario macroeconomico presentato nel Def è complessivamente condivisibile”

”La sensazione che qualcosa si muova può anche esserci – aggiunge Blangiardo – Dobbiamo essere pazienti e vedere gli ultimi dati che arriveranno, se confermano quello che è il segnale che ci è sembrato di vedere”.

Secondo quanto afferma invece il capo dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia, Eugenio Gaiotti, nel corso dell’audizione, nel nostro paese le informazioni più recenti danno qualche segnale favorevole sulla crescita nel primo trimestre, che potrebbe essere tornata positiva. ”Lo scenario macroeconomico presentato nel Def – spiega Eugenio Gaiotti  -tiene conto in modo realistico della congiuntura ed è complessivamente condivisibile”.

La spesa per interessi dei titoli di Stato potrebbe aumentare di 11 miliardi nel 2019-2021

”L’azione di riequilibrio sui conti pubblici – afferma ancora il capo dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia – è inscindibile da una politica economica volta a creare le condizioni per una crescita duratura”.

La spesa per interessi dei titoli di Stato, rileva la Banca d’Italia, potrebbe aumentare di 11 miliardi nel triennio 2019-2021. Nel 2018, ricorda palazzo Koch, ”il costo medio all’emissione dei titoli pubblici è passato da valori attorno allo 0,5% nel primo trimestre dell’anno all’1,5% nell’ultimo trimestre. Rispetto alla scorsa primavera, qualora i tassi di interesse restassero sui valori attesi dai mercati, gli oneri della spesa per interessi sarebbero più elevati di circa 1,5 miliardi quest’anno, 3,5 miliardi il prossimo e quasi 6 miliardi nel 2021”, per un totale di quasi 11 miliardi.

Millennials lavorano sempre, anche in bagno e in vacanza

Lavorare sempre, anche quando si è malati, durante i weekend e addirittura in bagno. Per la generazione dei Millennials, cresciuta in un’epoca caratterizzata dall’egemonia della tecnologia e dalla presenza costante sui social network, il tempo dedicato al lavoro si dilata e le ore di libertà si assottiglian, determinando uno scenario stressante e negativo. Tanto che secondo un sondaggio pubblicato su Forbes, il 66% dei nativi digitali ammette di sentirsi affetto da “workhaolism”, l’incontrollabile necessità di lavorare incessantemente, senza concedersi momenti di pausa o relax.

Allarme workhaolism tra i nativi digitali

Lo conferma anche uno studio americano pubblicato sul Washington Examiner, i Millennials soffrono di workhaolism, un termine coniato nel 1971 dal ministro e psicologo Wayne Oates che indica la compulsione incontrollata a lavorare sempre e ovunque. In particolare, riporta Ansa, dalla ricerca emerge che il 63% dei Millennials ammette di essere produttivo anche in condizioni di malattia, il 32% di lavorare addirittura in bagno, e il 70% di rimanere attivo anche durante il weekend. E ancora, il 39% dei nativi digitali sarebbe disposto a lavorare perfino in vacanza, magari all’interno di una vera e propria “workcation”. Ovvero un luogo rilassante, dotato di tutti i confort, e spesso anche di un luogo di lavoro condiviso.

Essere sempre connessi è nel Dna dei Millennials

“Nei geni dei giovani digitali è insita l’attitudine all’utilizzo di ogni apparato tecnologico che permetta una connessione al mondo, senza bisogno di spostarsi dal proprio ufficio e dalla propria casa. Ciò comporta un cambiamento della percezione del tempo e uno stato di trance che li fa diventare incoscienti – spiega Marina Osnaghi, prima Master Certified Coach in Italia – Me lo raccontano spesso i genitori dei ragazzi, facendo un amaro confronto con la generazione precedente”.

Come combattere la dipendenza da lavoro e iperconnessione

Secondo la psicoterapeuta Amy Morin, il 42% dei Millennials che lavorano intensamente più di 9 ore al giorno attaccati allo schermo del pc, hanno avuto riscontri negativi sulla propria salute mentale, peggiorando le condizioni fisiche e le relazioni sociali (fonte: HelpConsumatori). Ma cosa fare per combattere queste forme di dipendenza dalla tecnologia, che possono portare a sintomi quali depressione, ansia e insonnia? Gli esperti consigliano di perseguire un equilibrio consapevole fra i vari aspetti della vita, trovare un mentore che possa trasferire la propria esperienza e concedersi una pausa costruttiva al termine di ogni giornata lavorativa. Cercando sempre di ricordare che il proprio benessere psicofisico è insostituibile

I mercati e i settori più promettenti del 2019

Quali saranno i paesi e i settori più promettenti per il mercato del 2019? Bulgaria, Vietnam, Indonesia, Marocco e Perù. Questi paesi infatti offriranno le migliori opportunità di sviluppo commerciale agli esportatori. Almeno, secondo l’analisi condotta da Atradius, la società parte del Grupo Catalana Occidente (GCO.MC), l’azienda spagnola di assicurazione e credito commerciale. Per questi paesi Atradius evidenzia un trend di crescita, in decisa  controtendenza rispetto al clima di incertezza che caratterizza la maggior parte dei mercati emergenti.

Bulgaria, buone opportunità nei settori dei beni di consumo durevoli

La Bulgaria, in netta controtendenza rispetto alla contrazione economica che ha colpito l’Europa Orientale, offrirà buone opportunità per gli esportatori internazionali, compresi quelli italiani, in particolare nei settori dei beni di consumo durevoli, degli alimenti e delle bevande. Il paese balcanico nel 2019 vedrà una crescita del Pil del 3,5%. Opportunità di sviluppo commerciale nel mercato bulgaro sono attese anche nei settori chimico e meccanico, che beneficiano delle sovvenzioni dell’UE e del sostegno del governo locale. Anche il settore agricolo, tradizionalmente uno dei settori principali del mercato bulgaro, registrerà una crescita della produzione, il che stimola la domanda d’importazione di fertilizzanti dall’estero.

Vietnam e Indonesia trainano l’export nel Sud-Est asiatico

Nel Sud-Est asiatico le prospettive di crescita commerciale per l’export sono offerte dal Vietnam, che si aspetta una crescita del Pil del +6,7%, soprattutto grazie al settore tessile (+5%), degli alimenti e bevande, e al settore chimico, in particolare, il segmento carburanti Questo, in seguito alla forte diversificazione dei mercati di sbocco al di fuori della Cina, penalizzata dalle tensioni commerciali con gli Usa. La domanda alimentare è motore di crescita anche in Indonesia, che mostra prospettive promettenti nei settori dei beni di consumo durevoli, e in quello degli alimenti e bevande. A mostrare un trend positivo è anche la domanda nel settore chimico, spinto dall’esplosione dell’e-commerce, nelle infrastrutture e nel settore dei macchinari.

Perù, Pil +4% nel 2019, e Marocco +3,3%

In America Latina importanti opportunità di crescita sono attese nel settore dell’industria primaria del Perù (Pil +4% nel 2019), dove l’aumento della pesca delle acciughe e una maggiore produzione di idrocarburi faranno da traino alla crescita del settore. Lo sviluppo del comparto minerario inoltre alimenta la crescita del settore costruzioni e grandi opere, e nei settori alimenti e bevande, e dei beni durevoli di consumo. Che, supportati da un ampio mercato interno e dall’elevata fiducia dei consumatori, rivelano un alto potenziale di crescita.

Tra i Paesi MENA, il Marocco è in corsa con una previsione di crescita del Pil del + 3,3% nel 2019, ed è pronto a offrire promettenti opportunità di crescita per l’export nel settore manifatturiero, in particolare nel comparto dell’industria automobilistica. A sostenere la performance anche i settori del turismo e dell’energia rinnovabile, per il quale l’obiettivo del governo è di aumentare la quota al 42% entro il 2020.

Tariffe cellulari, gli italiani vogliono (tanti) Giga. E il mercato risponde

Almeno 2 GB mensili per navigare dal proprio smartphone sono ormai davvero il minimo da offrire agli utenti. Tuttavia, gli italiani sono affamati di Internet e oggi i pacchetti con almeno 10 GB, così da navigare in serenità dai propri device, sono sempre più richiesti. E gli operatori rispondono con proposte sempre più convenienti.

Quali le tariffe più apprezzate?

Le tariffe mobili con più appeal sono quelle con 5-10 o addirittura 20 giga, che fino a due anni fa erano interessanti solo per pochi. A tal punto che gli operatori propongono tariffe con 20 giga a prezzi più convenienti delle offerte con meno internet, invitando a un uso più massiccio della rete. A rivelarlo è l’ultima indagine SosTariffe.it, che ha preso in esame i dati del proprio comparatore di telefonia nel corso dell’ultimo biennio (2017-18).

Cos’è cambiato negli ultimi due anni

Con buona probabilità ha giocato un ruolo importante nella “liberalizzazione” di internet da dispositivi mobili l’avvento recente di nuovi operatori virtuali, con le loro promozioni a basso costo comprensive di molti GB. Fatto sta che dalla differenza di richieste giunte al comparatore tra il 2017 e il 2018 emerge un dato chiaro: gli italiani vogliono essere iperconnessi e navigare senza pensieri né preoccupazioni per i GB consumati. In due anni le richieste degli utenti di SosTariffe.it di tariffe che comprendono da 1 a 5 gigabyte di internet hanno subito un netto calo (-76,5%), a vantaggio delle comparazioni riguardanti offerte che propongono da 6 a 10 gigabyte almeno (+143%). Ma le più gettonate stanno progressivamente diventando le tariffe con oltre 10 gigabyte (+405%).

Mai senza GB

Nel corso del 2017, la maggior parte degli utenti di SosTariffe.it (il 44,85% del totale) si accontentava di navigare con 2 gigabyte di traffico internet. Accanto ad essi, un gruppo un po’ più ristretto (30,57%) di esigenti che già avevano bisogno del doppio di dati (4 GB al mese). Meno ambite le tariffe con 3 gigabyte (6,85%) o un solo giga (9,79%). Nel 2018 le esigenze sono cambiate. La maggior parte degli utenti (32,42%) tende ad assicurarsi sempre i 2 gigabyte indispensabili per svolgere le proprie attività quotidiane sul web. Ma a seguire c’è anche un gruppo che ha bisogno almeno di 5 Gb (21, 47%). I famelici di dati mobili sono ancora una minoranza: ovvero coloro che hanno bisogno di 10 giga mensili (15,99%) o addirittura 20 gigabyte al mese (16, 14%).

I pacchetti da 5 o 20 GB hanno costi simili

Per chi vuole navigare di più oggi non occorre spendere troppo. I pacchetti con 5 giga inclusi e quelli con 20 gigabyte hannoo grosso modo lo stesso prezzo, cioè in media 15 euro. Un invito, implicito, a navigare di più spendendo lo stesso. Mentre invece, per assurdo, risultano meno convenienti quelle con un traffico internet di 10 gigabyte incluso nell’offerta, le quali si aggirano intorno a 21 euro.

Il digitale conquista la mobilità urbana in Italia

Mobilità urbana sempre più digitale in Italia, anche grazie al crescente fenomeno dei digital payments: la modernizzazione del Paese passa anche da qui. E’ la fotografia recentemente scattata dall’Osservatorio Acquisti Nexi, la PayTech delle banche, che ha diffuso i dati relativi ai pagamenti digitali effettuati nel 2018 tramite carta o app e dedicati agli spostamenti in città. Quest’anno gli italiani hanno speso 246 milioni di euro con strumenti digitali per spostarsi in città, con una crescita del 30%. Grandi investimenti da parte dei nostri connazionali per Car & Bike sharing, Taxi e trasporto privato con autista, trasporto pubblico su gomma o rotaia e parcheggi. Sono i settori in cui, dal dicembre 2017 al novembre 2018, la spesa ha registrato una crescita sostenuta con, in particolare, un delta positivo del 30% nell’ultimo trimestre.

Trasporto pubblico e auto privata con autista guidano le spese di mobilità

Nel dettaglio, nei 12 mesi presi in esame sono stati 114 i milioni di euro spesi nel trasporto pubblico (46.5% del totale), con un incremento nell’ultimo trimestre del +23,4% rispetto allo stesso periodo del 2017. Dei comparti analizzati è il settore più caratterizzato da trend stagionali, in particolare nel mese di settembre, in occasione del rinnovo degli abbonamenti. Con 84.3 milioni di spesi (34.3% del totale) seguono i trasporti tramite Taxi e auto privata con autista, settori che registrano un incremento nell’ultimo trimestre oltre la media (Taxi +34.8%) grazie al contributo significativo apportato dalle aziende di trasporto privato operanti tramite App. La spesa degli italiani effettuata nel 2018 per parcheggi e Car Sharing, che si attesta – rispettivamente – a 24 e 20 milioni di Euro (9.7% e 8.1% del totale). A completare il quadro dei comparti analizzati con una spesa comparata più modesta, ma con trend di crescita più dinamici, i servizi di Bike Sharing: 3.7 milioni di euro (1.5% del totale), +157.1% nell’ultimo trimestre, rispetto allo stesso periodo del 2017.

Il trend di un Paese sempre più digital

Questi dati confermano che l’Italia si sta orientando sempre più verso una trasformazione digitale a 360 gradi.  “La mobilità urbana è rappresentativa di un trend del paese che si sta fortemente digitalizzando in diversi ambiti e processi, grazie anche alla possibilità data dai pagamenti digitali”, ha dichiarato l’Head of market insights Nexi, Francesco Pallavicino, che vede un futuro caratterizzato da “una forte crescita delle piattaforme digitali che abilitano in modo semplice e diretto tutte le attività quotidiane”.

Lavoro: previsti 1.111.550 nuovi contratti, ma permane la difficoltà di reperiment

Se i nuovi contratti di lavoro previsti entro gennaio 2019 sono 1.111.550, permane la difficoltà di reperimento, che arriva al 30% delle entrate previste. Le nuove norme sulla privacy e l’obbligo di fatturazione elettronica, che scatterà da gennaio 2019, fanno crescere inoltre la domanda di addetti all’amministrazione, alla contabilità e all’inserimento dati. Si tratta di alcune delle indicazioni che emergono dai programmi occupazionali delle imprese dell’industria e dei servizi, monitorate dal Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal.

La domanda di lavoro si mantiene in crescita

In Italia la domanda di lavoro si mantiene in crescita rispetto alle previsioni di novembre-gennaio 2017. Sono infatti circa 145mila i contratti in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, riporta Adnkronos, quando erano 966.770.

I settori che più contribuiscono a tale andamento sono le industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (+25,9%), i servizi dei media e della comunicazione e quelli dell’ICT (+23,7% e +23,1%), i servizi alle persone (21,6%), le industrie meccaniche ed elettroniche (19,6%), e le costruzioni (18,3%).

La difficoltà di reperimento sale al 30%

A novembre sono oltre 55mila le opportunità di lavoro in più rispetto a novembre dello scorso anno, sebbene resti invariata la percentuale di imprese che prevedono nuovi ingressi di personale. Aumentano, rispetto allo scorso anno, le assunzioni per impresa (che passano da 1,7 a 2,0) e, in particolare, aumentano le imprese di media dimensione intenzionate ad assumere (dal 25,8 al 28,1% del totale delle medie imprese). Aumenta sensibilmente anche la difficoltà di reperimento dichiarata dalle imprese (dal 25% al 30%), con incrementi più evidenti tra gli operai specializzati, le professioni tecniche e le professioni esecutive nel lavoro d’ufficio (tra +7,3 e + 5,9 punti percentuali).

Cresce il fabbisogno di profili amministrativi

In conseguenza anche della recente entrata in vigore del nuovo regolamento sulla privacy sono circa 30mila le posizioni lavorative a disposizione per gli addetti all’amministrazione e alle attività di back-office. Chi intende candidarsi dovrà possedere competenze digitali (ritenute importanti per il 61,2% dei profili previsti in entrata), capacità matematiche e informatiche (rilevanti per il 43,1% dei profili ricercati). Sono richieste anche competenze trasversali quali flessibilità e adattamento (60,9% dei profili), problem solving (60,5%) e autonomia (57,4%).

Nuove opportunità di lavoro anche nelle aree aziendali più coinvolte dalla fatturazione elettronica, obbligatoria a partire da gennaio 2019. Sono oltre 12mila i candidati fra addetti alla contabilità e addetti all’inserimento ed elaborazione dati ricercati dalle imprese nei prossimi tre mesi.

Gli italiani risparmiano poco, e il 25% non accantona nulla

ricchezza delle famiglie italiane dal 2012 rimane stabile, attestandosi a 9 volte il reddito disponibile, il tasso di risparmio lordo continua a calare. E a fine 2017 risultava pari al 9,7%, a fronte dell’11,8% della media dell’Eurozona. Nel 2004 aveva raggiunto il 15%, superando la media area euro di un punto percentuale. La crisi del 2007-2008 ha segnato un punto di caduta che sembrava destinato al recupero tra il 2012 e il 2014, ma che si è rivelato solo temporaneo.

Quanto a indebitamento, si legge nel rapporto della Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane per il 2018, le famiglie italiane sono le più virtuose d’Europa. A fine 2017 il rapporto debito/Pil era pari al 40%, a fronte di poco meno del 60% per la media europea.

Le componenti di portafoglio, fondi comuni e titoli di Stato in testa

Per quanto riguarda le scelte di portafoglio Italia ed Eurozona continuano a registrare il tradizionale divario nel peso della componente assicurativa e previdenziale, che nel contesto domestico rimane più contenuto (anche se in crescita), e dei titoli obbligazionari, comunque in diminuzione, riferisce Adnkronos.

Alla fine del 2017 il 29% delle famiglie possedeva però almeno un’attività finanziaria. A pesare di più nella composizione di portafoglio sono i fondi comuni e i titoli di Stato italiani (dopo i depositi bancari e postali). Gli investimenti etici e socialmente responsabili (Sri) sono invece ancora poco conosciuti. Più del 60% degli intervistati dichiara di non averne mai sentito parlare, e meno di un terzo manifesta interesse dopo essere stato informato.

Una capacità ancora contenuta di pianificazione e monitoraggio delle scelte finanziarie

Le famiglie intervistate risparmiano in modo regolare in meno del 40% dei casi, in modo occasionale nel 36%, e il 25% non accantona nulla. In generale, il risparmio regolare è più frequente tra i soggetti più abbienti. Determinanti risultano anche le conoscenze finanziarie, le competenze percepite, l’abitudine a pianificare, e alcune inclinazioni, come l’auto-efficacia, l’ansia finanziaria e l’avversione alle perdite. La maggior parte delle famiglie si caratterizza quindi per una capacità contenuta di pianificazione e monitoraggio delle scelte finanziarie. Il 40% circa non tiene un bilancio familiare, e solo un terzo dichiara di avere un piano finanziario e di controllarne gli esiti.

Comportamenti “critici” nel processo di investimento

I comportamenti nel processo di investimento, si legge ancora nel rapporto, mostrano ancora numerose criticità. La maggior parte degli intervistati dichiara di assumere le informazioni utili per l’investimento dal funzionario di banca o ricorre ai consigli di amici e parenti. Poco più del 20% si affida alla consulenza professionale, o delega un esperto, e il 28% sceglie in autonomia. Ma solo il 25% fa riferimento al prospetto finanziario, e il 40% delle famiglie non monitora i propri investimenti.

Contraffazione, servono controlli e procedure uniformi nella Ue

Il Rapporto della Commissione Europea sulla tutela a livello doganale della proprietà intellettuale segnala una diminuzione di oltre il 9% del numero di ispezioni doganali, e una diminuzione del 24% del volume dei beni sequestrati a livello europeo. Che sono passati dagli oltre 41,3 milioni del 2016 ai 31,4 milioni del 2017.

“I dati contenuti nel Report della Commissione – commenta Mario Peserico, Presidente di Indicam, l’associazione italiana per la tutela della proprietà intellettuale – dimostrano quanto sia importante affrontare l’argomento della lotta alla contraffazione quotidianamente, e come sistema, date le ripercussioni economiche e occupazionali nei singoli Paesi”.

Ue: aumentano i prodotti sequestrati, in Italia diminuiscono

Sono però in crescita i prodotti sequestrati e destinati all’uso quotidiano, come alimentari, medicine, elettrodomestici, cosmetici, giochi. Tutti potenzialmente dannosi per la salute e la sicurezza dei consumatori. Lo scorso anno in questa tipologia di prodotti è rientrato il 43,3% del totale dei pezzi sequestrati, mentre nel 2016 questa percentuale era al 34,2%, e nel 2015 al 25,8%. In Italia, a differenza di quanto registrato complessivamente a livello europeo, nel 2017 sono aumentate le ispezioni doganali (3.907 a fronte di 3.278 nel 2016), ma sono drasticamente diminuiti i beni contraffatti sequestrati: 593.487 contro i 1.006.661 dell’anno precedente. Numeri da leggere in relazione all’aumento degli acquisti online, caratterizzati da molti ordini per pochi pezzi ciascuno, riporta Askanews.

Internet è il mercato con i rischi maggiori

“Ancora una volta questi dati dimostrano come sia sempre più necessario sensibilizzare i singoli Paesi dell’Unione ad adottare procedure e approcci di controllo uniformi a livello di dogane, in modo che le analisi di rischio delle merci potenzialmente contraffatte siano uniformi tra loro, e non si presentino più punti di debolezza ai confini dell’Europa” sottolinea Peserico.

Il dato sull’aumento dell’arrivo di questi prodotti con modalità postali non deve però fare abbassare i controlli sul fronte degli arrivi via mare, che ancora oggi ha il peso maggiore. Al contempo non si può sottovalutare il commercio elettronico: finché Internet rimane esente dalla collaborazione dei big player è il mercato con i rischi maggiori.

Da dove arrivano le merci contraffatte?

Dopo la Cina, aggiunge Peserico, “non può farci stare tranquilli la crescita della Turchia, Paese alle porte dell’Unione Europea e primo nel settore degli abiti, capace di produrre prodotti di migliore qualità rispetto a quelli provenienti da altre zone, con prezzi di vendita superiori”.

L’impegno di Indicam, quindi, è quello di rendere consapevole ogni consumatore sui rischi e le conseguenze per la salute e la sicurezza dell’utilizzo di prodotti contraffatti. Senza dimenticare il supporto alle istituzioni nel contribuire affinché si realizzi un sistema virtuoso di controlli e lotta al crimine.

Instagram punta sull’e-commerce. In arrivo una nuova app di shopping online

Con 19 milioni di utenti solo in Italia, aumentati del 36% in un anno, Instagram non si accontenta. E mette in campo un nuovo progetto di e-commerce per crescere ancora di più. Il social più amato dai giovani sta pensando infatti a una nuova app per fare acquisti online. Forse perché, così come è accaduto a Facebook, sta iniziando a manifestare una tendenza “fisiologica” all’invecchiamento, tipica di tutti i servizi online. Se dopo essersi smarcata dalla capogruppo Facebook si è dimostrata molto più capace di attirare i giovani rispetto al suo concorrente, ora non è più un social per giovanissimi.

Non è (ancora) un social per “vecchi”, ma…

Anche se inizia a subire una sorta di invecchiamento la quota degli over 45 (pari al 23%) è molto inferiore rispetto a quella di Facebook, dove arriva al 37%. Inoltre, il 59% dei suoi utenti ha meno di 36 anni, mentre su Facebook gli under 36 sono il 42%.

Più in dettaglio, i minori di 18 anni su Instagram sono il 9,5%, mentre la fascia d’età più presente è quella dei 19-24enni, che copre un quinto degli utenti. I 25-29enni rappresentano invece circa il 16%, i 30-35enni circa il 13%, i 36-45enni il 18%, i 46-55enni il 14%.

Bassa, invece, la quota degli ultra 56enni (9%), che però sono raddoppiati. E crescono anche gli utenti 36-45enni (+ 42%), e i 46-55enni, cresciuti addirittura del 69%.

Le aziende con un account sono 25 milioni

Con una platea che si amplia, e una composizione (per ora) diversa da quella di Facebook, le aziende hanno drizzato le antenne, riporta AGI. Nel mondo sono 25 milioni le organizzazioni che hanno un account, di cui 2 milioni sono anche inserzioniste. E quattro utenti su cinque seguono almeno un’azienda.

Ecco perché Instagram sta pensando a un modo più strutturato di legare social ed e-commerce. Se già dal novembre 2016 aveva introdotto la possibilità di taggare nelle immagini i singoli prodotti, consentendo poi agli utenti di cliccare e acquistare direttamente dalla foto, più di recente ha avviato test analoghi nelle Storie. Il motto della funzione? Guarda, tocca, acquista. Ma ora sta pensando a una nuova app per l’e-shopping.

Fare acquisti online su Instagram

Da quanto rivela la testata hight-tech TheVerge sembra che la piattaforma stia lavorando a un’app dedicata agli acquisti online, uno strumento efficace per espandere i proventi. Non si tratterebbe di una semplice sezione interna, ma di un’applicazione che potrebbe chiamarsi IG Shopping. E il modello potrebbe essere quello di IGTV, l’app riservata ai video più lunghi accessibile da Instagram tramite un pulsante dedicato. In ogni caso, lo sviluppo di IG Shopping è ancora in corso. Aspettiamo di vedere se e quando arriverà in porto.

 

Nel 2030 la tecnologia trasformerà il lavoro, e lo renderà liquido

Quali scenari apre l’evoluzione delle tecnologie applicata al mondo del lavoro? Spesso viene messo in evidenza il rischio di un potenziale furto di figure specializzate da parte dei robot e vengono tralasciati i vantaggi di una tecnologia avanzata a disposizione della forza lavoro. Michael Page, brand di PageGroup specializzato nella selezione di professionisti qualificati di middle e top management, ha realizzato in partnership con Foresight Factory un approfondimento dedicato ai trend che modelleranno il posto di lavoro di domani. Come Bio-hacking:, blockchain, AI e robot.

Le abilità trasversali che le macchine non potranno replicare

Secondo l’analisi di Michael Page, capacità di giudizio, curiosità, sapere come muoversi in situazioni complesse e curiosità sono le competenze che le macchine non potranno replicare. Queste abilità trasversali si riveleranno il vantaggio chiave per le aziende, e secondo i recruiter di Michael Page, sono tra le caratteristiche imprescindibili per il professionista del futuro.

Si tratta appunto di competenze liquide in grado di adattarsi a diversi contesti. E questo considerando che le persone in futuro arriveranno a sviluppare da 4 a 6 carriere diverse nell’arco della propria vita.

Il curriculum del 2030 lo gestirà l’AI

Nei prossimi decenni cambierà anche la ricerca di lavoro. Il curriculum sarà uno spazio interattivo gestito dall’Intelligenza Artificiale che, come un Assistente Personale, gestirà i dati personali e i collegamenti. Le informazioni saranno conservate su base cloud e rese sicure attraverso la tecnologia blockchain, ma accessibili all’AI che potrà accedervi direttamente per valutare l’adeguatezza di un profilo in relazione a una descrizione di lavoro, e viceversa.

Bio-hacking, blockchain, robot: andare oltre l’umano

I microchip che consentono ai lavoratori di aprire porte, accedere a terminali e pagare sono già realtà. Ma questo è solo il principio dei bio-potenziamenti: il prossimo futuro prevede impianti smart, protesi ad alta performance e componenti potenziatori della memoria. Oltre ai dispositivi “indossabili”, saranno utili supporti per tenere il passo con la tecnologia.

La blockchain poi (la lunga catena di registrazione di dati duplicati attraverso milioni di macchine), avrà un impatto a lungo termine sulla futura forza lavoro destinato a essere profondo. Le relazioni peer-to-peer non saranno più così rischiose come lo sono attualmente su internet, e la capacità dei contratti smart di consentire una rivoluzione pay-as-you-go potenzierà ulteriormente la cosiddetta gig economy.

Inoltre, benché robot e AI siano destinati inevitabilmente ad assumere molte funzioni, ci sarà un cambiamento nelle interazioni tra uomini e macchine che porterà al massimo livello di efficienza. I colleghi robot, o “cobot”, si integreranno. La forza lavoro si baserà sulla coabitazione e ls cooperazione fra uomo e macchina.