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Gli italiani e l’amicizia: nel 2023 è un valore fondamentale?

L’amicizia è ancora ritenuta un valore fondamentale? E quanto sono soddisfatti gli italiani delle proprie amicizie, cosa ricercano in un amico o in un’amica, e che valore attribuiscono all’amicizia?
Secondo l’ultimo sondaggio Ipsos, condotto in occasione della Giornata Mondiale dell’Amicizia 2023, più di tre intervistati su quattro (77%) danno un voto almeno sufficiente alla propria rete di amici e conoscenti, mentre per il 38% il voto è addirittura pari 8 o superiore. In generale, gli italiani si dichiarano soddisfatti della propria rete di amici, di cui la caratteristica più ricercata è l’affidabilità. Al contempo, però, meno della metà degli intervistati percepisce l’amicizia come un valore davvero fondamentale per la propria felicità.

L’architrave del vivere sociale

Le relazioni, amicali, affettive o di altro genere, sono l’architrave del vivere sociale, e gli italiani se ne dichiarano soddisfatti.  Il sondaggio Ipsos ha indagato anche quali sono le principali caratteristiche che si cercano maggiormente in un amico o in un’amica. Ed è emerso che negli amici gli italiani cercano soprattutto affidabilità, ma anche leggerezza, simpatia, semplicità, e allegria. Stimoli intellettuali o esperienze da condividere vengono in secondo piano.

Le donne si fidano meno

In particolare, dal sondaggio emerge come sette intervistati su dieci dichiarano di fidarsi dei loro amici, ma soltanto il 20% sostiene di poterlo fare ‘ciecamente’. Il restante 50% si fida abbastanza e fa affidamento sugli amici il più delle volte, ma non sempre.
Questa fiducia ‘condizionata’ è il risultato delle delusioni della vita? Non possiamo saperlo, anche se quasi tre persone intervistate su dieci dichiarano di aver dato agli amici più di quanto abbiano ricevuto da questi. Una tendenza più forte tra le donne, e che non a caso si collega a un livello di soddisfazione mediamente più basso e a un livello di fiducia dichiarato anch’esso inferiore.

Con l’età si dà più importanza alle relazioni con i parenti

In ultima analisi, meno della metà degli italiani (44%) considera l’avere amici su cui poter contare e con cui star bene insieme un aspetto fondamentale per la propria felicità. Per il 38% le amicizie sono ‘abbastanza’ importanti, ma non fondamentali, e per il 18% sono addirittura ‘poco’ importanti.
Quest’ultima tendenza cresce con l’avanzare dell’età. I rispondenti più adulti sono anche quelli che danno più peso alle relazioni con i parenti, rispetto a quelle con gli amici. Tanto che in merito al viaggio ideale, per la maggioranza è con la famiglia, solo un quarto indica gli amici e uno su dieci preferisce viaggiare da solo. Unica eccezione i giovani della GenZ, che mettono gli amici al primo posto nella classifica dei compagni di viaggio preferiti.

Cyber insurance: nel 2023 aumentano gli attacchi, ma polizze meno care

La conferma arriva dal terzo rapporto annuale sugli andamenti della cyber insurance del broker internazionale Howden, intitolato Coming of Age: la prima metà dell’anno evidenzia un aumento significativo degli attacchi ransomware, la cui frequenza è aumentata di quasi il 50% rispetto al corrispondente periodo del 2022. Il rapporto non ha però ravvisato un corrispondente aumento dei sinistri. Questo, grazie a una maggiore efficacia globale nella gestione del rischio ransomware, al miglioramento della resilienza delle aziende e alla stabilizzazione del mercato assicurativo cyber. Tanto che nel 2023 gli assicurati contro i cyber attacchi che hanno attuato le corrette misure di prevenzione e mitigazione del rischio vengono premiati con prezzi e condizioni più favorevoli.

Non solo opportunità di business, ma dovere sociale

Il rapporto mostra tuttavia che è necessario fare di più se si vuole soddisfare la crescente domanda dei clienti in tutto il mondo.
“Ci siamo messi immediatamente a disposizione degli imprenditori italiani per supportarli nella prevenzione e gestione di una pandemia cyber già in atto – commenta Federico Casini, CEO Howden Italia -. Non si tratta solo di un’opportunità di business, ma di un dovere sociale che ogni assicuratore deve avere per non fermare lo sviluppo dell’economia e sostenere anche l’internazionalizzazione delle imprese”.

Un mercato da 50 miliardi di dollari entro il 2030

Dopo un’importante correzione del mercato assicurativo a seguito dell’impennata dei sinistri derivanti da eventi ransomware nel 2020 e 2021, che ha fatto più che raddoppiare il costo delle polizze, le condizioni hanno iniziato a stabilizzarsi. Questo, grazie soprattutto a controlli del rischio più efficaci, che hanno scoraggiato o mitigato gli attacchi. Howden prevede che le dimensioni del mercato cyber globale potrebbero raggiungere 50 miliardi di dollari entro il 2030. La realizzazione di questo potenziale è legata però a tre fattori: la distribuzione in nuovi settori, la gestione del tail risk (il rischio di un evento molto raro ma che va considerato e calcolato) e l’attrazione di nuovi capitali.
Se queste sfide saranno affrontate con successo, il mercato si troverà all’inizio di un periodo di crescita in grado di determinare grandi cambiamenti.

Le aziende italiane sono più cyber resilienti

Ma il cyber crime raramente si ferma. Gli sviluppi per il 2023, riporta Italpress, indicano un mercato ricco di sfumature, caratterizzato sia dall’ottimismo di dinamiche di offerta più favorevoli per gli acquirenti di polizze, sia dall’incremento di attacchi ransomware e truffe, dalle preoccupazioni per le potenziali perdite sistemiche e dall’insufficiente disponibilità di capitale.
 “L’epidemia ransomware che ha colpito l’Europa a partire dal 2019 ha particolarmente interessato il nostro Paese, che ha assunto purtroppo il primato per numero di attacchi di questo tipo nel 2022 – commenta Roberto Panzeri, Head of Financial Lines Howden Italia -. Ciò a cui stiamo assistendo in questi primi sei mesi del 2023 è una sorta di stabilizzazione del fenomeno in termini di severità dei ransomware, anche grazie ai miglioramenti del livello di resilienza cyber raggiunto dalle aziende italiane, dalle big corporation alle Pmi”.

Quasi 9 milioni di italiani non andranno in vacanza

Tra chi ancora è indeciso e chi già è sicuro di non fare le valigie, sono quasi 9 milioni gli italiani che come motivo delle mancate ferie indicano che non se le possono permettere economicamente.
Secondo l’indagine commissionata da Facile.it all’istituto di ricerca EMG Different, sono soprattutto gli appartenenti alla fascia anagrafica 35-44 anni. Tra loro, il 64,3% (1,6 milioni) resterà a casa per motivi economici. A livello territoriale, invece, sono gli abitanti del Sud Italia (59,1%) e delle Isole (60%) coloro che in percentuale rinunceranno in misura maggiore alla partenza a causa di difficoltà economiche.

Le ragioni di chi non parte

Per il 59,5% di chi non partirà per ragioni economiche (oltre 5 milioni) a incidere è l’aumento generalizzato dei prezzi. Dato che raggiunge il 69,4% tra i 45-54enni. In pratica, quasi 7 italiani su 10 in questa fascia di età rinunceranno alle vacanze perché in difficoltà.
Il 35,8% di chi resterà a casa per ragioni economiche rinuncerà a causa degli incrementi dei costi legati al viaggio, soprattutto i giovani. Più di uno su 2 (53,8%) appartenente alla fascia 18-24 anni ha dato questa motivazione. Il 26,4%, poi, si trova in una situazione di difficoltà economica a causa di un imprevisto (33,3% tra i 25-34enni e gli abitanti del Nord Est e delle Isole), mentre il 22,3% a seguito della perdita del proprio lavoro o di un membro della famiglia. La percentuale è più alta nel Nord Ovest (35,3%) e al 36,8% per gli intervistati di età compresa tra 55-64 anni.

Non solo motivi economici

Oltre alle motivazioni economiche, sono anche altre le ragioni per cui tanti italiani non si concederanno una vacanza. Il 17,2% (2,9 milioni) andrà in vacanza durante un altro periodo dell’anno, percentuale che sale al 19,4% tra i 25-34enni e al 23,3% tra i residenti nel Nord Est, arrivando al 32,7% per gli appartenenti alla fascia anagrafica 65-74 anni.
Il 12%, invece, non avrà ferie, soprattutto i più giovani (18,2% 18-24enni e 27,8% 25-34enni), mentre l’11% non potrà partire perché deve accudire persone anziane. In questo caso sono principalmente coloro di età compresa tra 55-64 anni (19,7%). Il 9,5%, poi, non partirà per curare il proprio animale (13,3% tra i 45-54 anni e 14,3% nelle Isole). Ma sono più di 400mila coloro che staranno a casa per paura di contrarre il Covid.

L’identikit di chi starà a casa

Se a livello nazionale la percentuale di chi quest’anno sicuramente non partirà per le vacanze estive è pari al 16,9%, il dato arriva al 19,1% tra chi ha un’età compresa tra 45-54 anni, mentre a livello territoriale sono gli abitanti del Centro Italia (21%) coloro che rinunceranno in misura maggiore alle ferie. Tra coloro che non sanno ancora se partiranno o meno, oltre 9,3 milioni di connazionali (22%), i più indecisi sono i 65-74enni (27,2%) e i residenti nelle Isole, dove la percentuale raggiunge il 26%.

A quanto ammonta il Conto trimestrale delle Amministrazioni Pubbliche nei primi tre mesi del 2023?

Grazie al sensibile rallentamento della dinamica dei prezzi nel primo trimestre 2023 il potere d’acquisto delle famiglie italiane è aumentato del 3,1% rispetto al trimestre precedente. E la propensione al risparmio delle famiglie, pur continuando il suo calo in termini tendenziali, ha segnato il primo aumento in termini congiunturali dopo diversi trimestri di diminuzione, attestandosi nei primi tre mesi dell’anno in corso al 7,6%. Nel primo trimestre del 2023 però l’indebitamento delle Amministrazioni Pubbliche in rapporto al Pil ha mostrato un peggioramento rispetto allo stesso periodo del 2022. Questo, per la minore incidenza delle entrate dovuta a una riduzione della pressione fiscale.

Saldo primario e saldo corrente entrambi negativi 

Il Conto delle Amministrazioni Pubbliche e le stime relative alle famiglie e alle società sono parte dei Conti trimestrali dei settori istituzionali. I dati relativi alle Amministrazioni Pubbliche sono commentati in forma grezza, quelli relativi alle famiglie e alle società in forma destagionalizzata.
Nel primo trimestre 2023 l’indebitamento netto delle Amministrazioni Pubbliche in rapporto al Pil è stato pari al -12,1% (-11,3% nello stesso trimestre del 2022). Il saldo primario delle Amministrazioni Pubbliche, ovvero l’indebitamento al netto degli interessi passivi, è risultato negativo, con un’incidenza sul Pil del -8,8% (-7,6% nel primo trimestre 2022).
Il saldo corrente delle Amministrazioni Pubbliche è stato anch’esso negativo, con un’incidenza sul Pil del -6,0% (-5,9% nel primo trimestre del 2022).

Famiglie: aumentano reddito disponibile, propensione al risparmio, potere d’acquisto

In Italia la pressione fiscale nel primo trimestre 2023 è stata pari al 37,0%, in riduzione dello 0,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici è invece aumentato del 3,2% rispetto al trimestre precedente, mentre la spesa per i consumi finali è cresciuta dello 0,6%.
La propensione al risparmio delle famiglie è stata pari al 7,6%, in aumento del 2,3% rispetto al trimestre precedente. A fronte di una sostanziale stabilità dei prezzi (la variazione congiunturale del deflatore implicito dei consumi è pari al +0,1%), il potere d’acquisto delle famiglie è cresciuto del 3,1%.

Società non finanziarie: diminuiscono quota di profitto e tasso di investimento

La quota di profitto delle società non finanziarie, pari al 43,7%, è diminuita dello 0,9% rispetto al trimestre precedente. Il tasso di investimento delle società non finanziarie, pari al 24,0%, è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente. La quota di profitto delle società non finanziarie ha segnato il primo calo congiunturale dal primo trimestre del 2021, raggiungendo il 44,6%. Anche il tasso di investimento ha segnato una lieve diminuzione per il rallentamento della spesa per investimenti.

e-commerce B2b: nel 2022 vale 468 miliardi, ma digitalizzazione in stallo

Nonostante un livello di adozione mediamente alto delle tecnologie per le transazioni digitali, la penetrazione dell’e-commerce B2b in Italia risulta ancora bassa, con appena un ordine su cinque scambiato tramite strumenti digitali. Secondo i dati dell’Osservatorio Digital B2b della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2022 il valore dell’e-commerce B2b in Italia è pari a 468 miliardi di euro, in crescita del 3% rispetto al 2021. L’incidenza sul totale del transato B2b italiano però è ferma al 21%, e per la prima volta dal 2015 rimane stabile rispetto all’anno precedente, suggerendo l’inizio di una fase di consolidamento degli investimenti nel digitale realizzati durante la pandemia.

Ciclo dell’ordine e processi amministrativo-contabili

Poiché ne ha introdotto l’obbligo generalizzato, l’Italia vanta un primato europeo nella fatturazione elettronica, ma resta da completare l’ultimo tassello per la digitalizzazione del ciclo dell’ordine: quello della fase di consegna, ancora ferma al palo. Oggi solamente il 34% delle imprese italiane emette Documenti di Trasporto digitali, e solo una su quattro li riceve.
Tra i processi amministrativo-contabili, invece, le attività interne sono le più digitalizzate: il 65% delle imprese possiede un software gestionale ERP, il 60% certificati di firma informatica, il 53% software di conservazione digitale e sempre il 53% software per la gestione elettronica documentale. Ma a spingere verso il basso la digitalizzazione sono le Pmi, che registrano una diffusione inferiore del -24% rispetto alle grandi imprese.

Vendita e integrazione tra aziende 

“Il paniere di tecnologie a disposizione delle imprese è sempre più ampio e con logiche sempre più vicine a quelle B2c, ma la penetrazione dell’e-commerce B2b è ancora troppo bassa – commenta Paola Olivares, direttrice dell’Osservatorio -. E il principale ostacolo alla digitalizzazione è spesso culturale”.
Tra le tecnologie digitali per la vendita, il 17% delle imprese possiede un Portale B2b, l’11% adotta piattaforme B2b, il 18% ha un sito proprio B2b, e il 6% utilizza Marketplace B2b, utilizzati principalmente per vendere prodotti, ma anche come vetrina dell’offerta.
Tra le tecnologie che abilitano l’integrazione tra aziende, nel 2022 23.700 imprese italiane utilizzano l’EDI (Electronic Data Interchange, +13% rispetto 2021), per 135 milioni di documenti scambiati (+2%), tra ordini, conferme d’ordine, avvisi di spedizione e fatture.

Processi interni e firma informatica

Nella digitalizzazione dei processi interni, aumentano la diffusione delle firme informatiche, utilizzate ormai da quasi la metà delle imprese italiane per firmare contratti e fatture elettroniche. Sono oltre 29 milioni i certificati di firma attivi rilasciati ad aziende e privati (+0,4% rispetto 2021), e aumentano gli utilizzi effettivi. La firma informatica è uno dei servizi fiduciari normati in eIDAS insieme a sigilli elettronici, servizi di recapito certificato, time stamping e certificati di autenticazione (TLS) per siti web.
La sinergia tra questi servizi è sempre più forte: si contano 225 fornitori qualificati di servizi fiduciari (QTSP) in Europa, di cui 20 in Italia, terzo Paese dietro a Spagna (48 QTSP) e Francia (29).

La spesa degli italiani è meno “junk” e più bio

La spesa degli italiani diventa sempre più ‘sana’ e sostenibile. Nel carrello del post-pandemia gli italiani puntano infatti soprattutto sulla qualità della propria spesa alimentare, e oggi comprano il 10,5% in più di alimenti sostenibili certificati, il 7,5% in più di alimenti biologici e a km zero, mentre riducono i cibi pronti e confezionati (-5,2%) e i cosiddetti prodotti ‘junk food’, ovvero i cibi spazzatura (-4,4%). Sono alcuni dati emersi dai risultati del rapporto ‘La (R)evoluzione sostenibile della filiera agroalimentare’, presentato durante il 7° forum dal titolo ‘La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni’, organizzato da The European House-Ambrosetti.

La sostenibilità inizia dalla produzione

Per il 73% dei consumatori un prodotto è sostenibile quando il suo processo di produzione è sostenibile. Subito dopo conta la sostenibilità del packaging (40,3%), e l’80% dei consumatori è disposto a spendere un po’ di più per acquistarlo. Oltre un terzo spenderebbe meno del 5% in più, mentre poco meno del 5% è disposto a spendere oltre il 30% in più. Secondo la ricerca, anche per le imprese un prodotto diventa sostenibile soprattutto nella sua fase di produzione: lo sostiene il 38,9% delle 500 aziende del settore Food&Beverage coinvolte. Ma per molte aziende (32,3%) è invece l’alta qualità delle materie prime il fattore principale di sostenibilità. Di fatto, nei piani dei prossimi 3-5 anni le aziende dichiarano di voler dedicare maggiore attenzione soprattutto alla sostenibilità della produzione (12,7%) e alla riduzione degli sprechi (13,7%).

Un contrasto efficace al rincaro dei prezzi agroalimentari

“L’adozione di comportamenti più sostenibili nel carrello della spesa può anche essere un efficace contrasto all’attuale rincaro dei prezzi agroalimentari – ha spiegato Benedetta Brioschi, Associate Partner e Responsabile Food&Retail, The European House-Ambrosetti -. I consumatori italiani si comportano in base alle rispettive disponibilità economiche: le famiglie meno abbienti si sono orientate verso la riduzione degli sprechi alimentari nel 17,4% dei casi, quelle famiglie più abbienti, invece, acquistano maggiormente prodotti che possano salvaguardare il proprio benessere nel 33,3% dei casi”.

Ma ancora in pochi conoscono la dieta mediterranea

“Le abitudini d’acquisto stanno cambiando con una graduale e maggiore attenzione ai temi della salute – ha aggiunto Benedetta Brioschi -, ma nel Paese bisogna ancora lavorare sugli aspetti culturali: solo il 17,3% dei cittadini sa che la dieta mediterranea prescrive il consumo di almeno 5 porzioni giornaliere di frutta e verdura. E solo il 5% mette in pratica questi dettami, anche se siamo i primi esportatori di alcuni prodotti alla base di questo tipo di alimentazione”.

Italia, tiene l’export digitale dei beni di consumo: + 20,3% nel 2022

In un contesto economico contraddistinto da luci e ombre, nel 2022 le esportazioni italiane hanno ripreso a crescere in termini di valore. Mostrano infatti un trend positivo che continua parzialmente anche nei primi mesi del 2023. In questo scenario, il commercio digitale genera nuove opportunità di sviluppo e svolge un ruolo centrale nelle strategie di export delle imprese italiane. Nel 2022, l’export digitale italiano dei beni di consumo, sia diretto (B2C) tramite siti web o marketplace propri, sia intermediato (B2B2C) tramite rivenditori online, ha raggiunto il valore di 18,7 miliardi di euro, registrando una crescita del 20,3% rispetto al 2021, corrispondente a un aumento annuo di circa 3 miliardi di euro e rappresentando l’8,8% dell’export italiano complessivo. I settori più rilevanti sono la moda, con 10,1 miliardi di euro e il 54% del totale, il food & beverage, con 2,6 miliardi di euro e un aumento del 18,2% rispetto al 2021, e l’arredamento, con 1,3 miliardi di euro e una crescita del 13% rispetto al 2021.

Il comparto del B2B vale 175 miliardi di euro

Nel settore del commercio tra aziende (B2B), l’export digitale italiano ha raggiunto nel 2022 il valore di 175 miliardi di euro, in crescita del 20% rispetto ai 146 miliardi del 2021. Questo valore rappresenta circa il 28% dell’export italiano totale. I settori che incidono di più sono l’automotive (38 miliardi di euro, 22% del totale), la moda (26 miliardi di euro, 15% del totale) e la meccanica (17,8 miliardi di euro, 10% del totale), ma le maggiori crescite si osservano nel settore farmaceutico (+47%), nell’elettronica di consumo (+21%) e nella moda (+20%). 

Le PMI ancora poco mature

Tuttavia, le piccole e medie imprese italiane presentano ancora strategie di export digitale poco mature, con inefficienze nell’uso dei canali di vendita digitali, delle tecnologie per l’export e delle analisi dei dati per valutare i progetti di internazionalizzazione. Questi sono alcuni dei risultati emersi dalla ricerca condotta dall’Osservatorio Export Digitale della School of Management del Politecnico di Milano. Nonostante il contesto economico negativo, nel 2022 le esportazioni italiane sono cresciute notevolmente, principalmente a causa dell’aumento dei costi di produzione e dei prezzi anziché dei volumi. Se i marchi italiani non hanno registrato un aumento degli ordini transfrontalieri, sono comunque riusciti a mantenere le loro quote di mercato. In un contesto turbolento, il canale online rappresenta un’opportunità ancora poco sfruttata dalle PMI per raggiungere mercati lontani, comprendere meglio i propri clienti e ottimizzare i processi di vendita. Pertanto, è essenziale promuovere la cultura e diffondere la conoscenza per agire con consapevolezza in una strategia di export digitale.

Lo scenario macroeconomico attuale 

Per quanto riguarda lo scenario macroeconomico, il 2023 presenta un contesto globale incerto, dopo tre anni caratterizzati da ampie fluttuazioni. Le stime delle principali istituzioni economiche indicano una crescita del PIL globale del +3,4% nel 2022, con una previsione di +2,6% per il 2023. L’inflazione mondiale è in calo nei primi mesi del 2023, ma rimane ancora relativamente elevata e potrebbe portare a politiche monetarie restrittive per un certo periodo. Queste incertezze, insieme alle tensioni geopolitiche ed economiche, hanno influenzato il commercio mondiale, che nel 2022 ha registrato un modesto aumento del 2,7%, inferiore alla crescita del PIL globale. In Italia, nel 2022 il valore delle esportazioni è ripreso a crescere (+19,8% rispetto al 2021), raggiungendo quasi i 625 miliardi di euro. Sia i beni di consumo che i prodotti intermedi hanno registrato una crescita quasi identica. I beni strumentali sono cresciuti meno (+13,8%), mentre l’energia ha registrato una crescita significativa (+89%). Nei primi mesi del 2023, il tasso di crescita rimane positivo, ma l’aumento dei prezzi di vendita è il fattore determinante, non l’incremento dei volumi esportati.

I mercati di maggior interesse per l’export digitale 

L’Osservatorio ha anche elaborato un indicatore per identificare i Paesi di maggiore interesse per l’export digitale italiano tra le 20 principali economie mondiali. Al primo posto in questa classifica si trovano Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia, che riflette l’elenco attuale dei principali Paesi destinatari dell’export italiano complessivo. Altri Paesi come Singapore (6° posto), Canada (7° posto) e Corea del Sud (8° posto) emergono grazie a ottime prestazioni in termini commerciali, infrastrutturali (ICT e logistica) e amministrative. Alcuni importanti partner commerciali, come la Spagna, si posizionano più in basso nella classifica (11° posto) a causa delle basse performance economiche e regolamentari e di una penetrazione limitata del mercato e-commerce.

Mattone o cedola? Investire negli immobili conviene (quasi) sempre

Alla luce dei più recenti eventi che hanno coinvolto il nostro Paese, oltre alla guerra in Ucraina, l’aumento dell’inflazione e la diminuzione del potere d’acquisto, come cambia la propensione all’acquisto di immobili e all’investimento in abitazioni da parte delle famiglie italiane? Se per 8 italiani su 10 il mattone resta il porto sicuro, dalla ricerca ‘Cedola vs mattone: dove va la vera redditività? E come si distribuisce il patrimonio delle famiglie italiane?’ realizzata da Nomisma per conto di T. Rowe Price, si evidenzia l’importanza di diversificare asset patrimoniali con asset finanziari.

La casa è parte di un patrimonio finanziario

Per il 48% degli intervistati l’acquisto di una casa è sempre un investimento conveniente, e per il 39% le rendite da immobili garantiscano sempre un ritorno economico sicuro. D’altronde, secondo la Banca d’Italia, il 53% della ricchezza netta di una famiglia media italiana è immobiliare/abitativa: il 70,5% degli italiani possiede la prima casa e il 13,5% almeno una seconda. La casa, sia la propria abitazione o venga messa a reddito, non va pensata come un bene a sé stante, ma come parte di un patrimonio finanziario. Questo vale anche per la prima casa, che di fatto è una scelta di investimento di lungo periodo. 

Acquistare un immobile comporta costi e rischi

Che si tratti di prima o seconda casa, un immobile è però esposto a rischi e a costi da non sottovalutare, come l’eventuale reintroduzione della tassa di successione anche in Italia. Inoltre, l’immobiliare resta un investimento non immediatamente liquidabile, ed è esposto al ‘rischio tassi di interesse’ nel caso l’acquisto venga effettuato tramite mutuo. Per un immobile di proprietà, oltre ai tempi di liquidazione, c’è il problema della valutazione, che avviene solo al momento della compravendita, oltre a vari costi (IMU seconda casa, imposta di registro, costi di intermediazione e notarili). Sulla locazione gravano invece i rischi legati all’elevata morosità (ogni anno il 50% delle locazioni non viene onorato con regolarità) e all’impossibilità di prevedere le spese straordinarie.

Solo Milano dà garanzie di investimento sicure 

Negli ultimi dieci anni solo la piazza di Milano ha visto crescere il settore. Lo stesso non si può dire di altre città come Roma e Napoli, che pur in recupero, restano lontane dalle quotazioni del 2012.
“Per investire con soddisfazione nell’immobiliare occorre acquistare nei grandi centri economici che crescono, o nelle città d’arte, perché tutto il resto è esposto a rischi, non ultimo quello demografico – spiega Luca Dondi Dall’Orologio, AD Nomisma -. Occorre comprare in aree dove l’immobile è un bene scarso. Milano è una città che cresce 4-5 volte rispetto a quanto cresce l’Italia e che attira investimenti esteri, tenendo alte le quotazioni”,  Alla luce dei dati emersi nella ricerca, gli esperti consigliano quindi l’opportunità di considerare nuove sinergie fra asset immobiliari e finanziari, onde evitare o contenere i rischi connessi ‘al mattone’.

Italia fra i 5 Paesi più colpiti da ransomware: nel 2022, 28mila incidenti

A livello globale, l’Italia rientra nella lista dei 5 Paesi più targettizzati da attacchi ransomware, preceduta solamente da Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Germania. Il 2023 Y-Report di Yarix l’anno scorso ha rilevato 28.493 incidenti di sicurezza di gravità media, alta e critica, con un incremento significativo nell’ultimo trimestre dell’anno. Una conseguenza delle numerose vulnerabilità critiche emerse sugli applicativi di largo consumo. Dei 175.045 eventi di sicurezza intercettati, Gdo (12%) e Moda (11%) rappresentano i comparti più colpiti, insieme al sistema bancario e finanziario (10%) e all’Industria Chimica (9%). Manufacturing (23%), industria dei Servizi (14%), Food and Beverage (11%) sono invece risultati i settori più esposti a incidenti con un livello di gravità ‘alto’ o ‘critico’.

Obiettivi privilegiati: commercio, finanza ed edilizia

L’Italia spicca quindi per l’incidenza di ransomware, uno dei maggiori fattori di rischio per la sicurezza delle aziende e del sistema Paese. Lockbit, insieme ad AlphV/BlackCat e Hive, resta tra i gruppi più attivi. Tra gli obiettivi privilegiati dei gruppi ransomware svettano le Strutture commerciali, davanti ai Servizi Finanziari, l’Industria Edile, il Legal & Business e il Retail & ingrosso.

Infostealer: siamo al 5° posto in Europa perr credenziali esfiltrate

Tra le novità dell’anno, Yarix segnala la nascita di 38 nuove ransomware gang costituite nel 2022, e sempre più abili nel non lasciare tracce, rendendo più complessa l’identificazione del punto d’ingresso degli attaccanti, e dunque della vulnerabilità. In crescita, inoltre, la complessità delle tecniche, tattiche e procedure (TTP) utilizzate. Guardando agli infostealer, software malevoli atti al furto di dati, l’Italia si posiziona nella top 20 mondiale, e al 5° posto a livello europeo per credenziali esfiltrate, preceduta da Polonia, Francia, Germania, Spagna.

Crescono gli affiliati ai gruppi criminali

Tra le tendenze che hanno caratterizzato le attività dei gruppi criminali nel 2022, Yarix evidenzia come alcuni gruppi ransomware abbiano bandito il settore sanitario dai loro obiettivi. Inoltre, numerose famiglie ransomware sono state aggiornate per rendere i gruppi ransomware ancora più aggressivi ed efficaci nel colpire le grandi aziende.
E ancora, sono in aumento i servizi di tipo RaaS, e crescono gli affiliati ai gruppi criminali, oltre a crescere la tendenza di rendere note le chat tra i gruppi cyber criminali e le loro vittime, per aumentare la pressione durante il processo di negoziazione.
In crescita anche i programmi fedeltà dei gruppi criminali. Nel 2022 LockBit ha messo in palio 1 milione di dollari in cambio di segnalazioni su vulnerabilità, o semplicemente per ricevere idee su come migliorare il proprio business model.

Settore farmaceutico, eccellenza italiana guidata dall’innovazione

Il settore farmaceutico italiano può contare su un gruppo di imprese medio-grandi a capitale italiano, le cosiddette Fab13, riuscite a primeggiare grazie a radicati processi di internazionalizzazione, investimenti e innovazione. Con un volume d’affari pari a 14,3 miliardi di euro nel 2022, la volontà di proseguire in una crescita a lungo termine è testimoniata dai tassi di incremento degli investimenti, che ammontano a 3,4 miliardi di euro (+25% vs 2021) con un’incidenza sui ricavi annuali pari al 23,7%. A testimonianza di uno spiccato orientamento alla competitività sui mercati internazionali, il mercato estero rappresenta il 72,6% delle vendite totali. Ma le Fab13 crescono anche a livello globale (+12,6% ricavi) grazie a export (+14,9%), investimenti (+25%) e innovazione (1,6 miliardi di euro nel 2022), confermando l’eccellenza di un’industria che negli anni ha saputo imporsi su scala internazionale. 

Investimenti in R&S: 1,6 miliardi nel 2022

È la fotografia dell’Osservatorio Nomisma su Le Fab13: la farmaceutica a capitale italiano.
Tra gli interventi principali effettuati nel 2022 dalle Fab13 l’Osservatorio registra 1,6 miliardi di euro per sostenere l’attività di R&S, 1,3 miliardi per l’acquisizione di aziende, prodotti e licenze (+50% vs 2021), 250 milioni per miglioramenti infrastrutturali, di efficientamento e ampliamento delle aree produttive, nonché per l’acquisto di attrezzature e macchinari. In particolare, il trend di spesa in R&S mostra un nuovo cambio di passo proprio in concomitanza dell’ultimo triennio. Se l’investimento medio annuo tra il 2010 e il 2019 si attestava a circa 723 milioni di euro, tra il 2020-2022 l’ammontare medio investito ogni anno è quasi raddoppiato a quota 1.404 milioni.

Occupazione: 14.534 addetti di cui il 44% è donna

Nel 2022 le Fab13 hanno impiegato nel mondo 43.736 addetti, di cui 14.534 in Italia, dove il personale viene occupato prevalentemente in attività di R&S e produzione. Il 95% è inquadrato con un contratto a tempo indeterminato e quasi uno su due è donna (44%).
L’importanza del settore farmaceutico all’interno del sistema economico italiano, in particolare delle Fab13, è infatti misurabile in base all’impatto occupazionale diretto, ma anche in base all’effetto indiretto generato sulla rete di fornitura e sui settori che partecipano alla filiera di produzione e commercializzazione del farmaco. 

Effetto indiretto sulla filiera e spinta ai consumi

All’interno dell’industria manifatturiera nazionale, il settore farmaceutico italiano si contraddistingue strutturalmente per una dimensione aziendale superiore rispetto alla media degli altri comparti: il 38,3% delle imprese del farmaco impiega, infatti, oltre 50 addetti, laddove la quota di medie e grandi imprese della manifattura non oltrepassa il 3% del totale. Attraverso l’utilizzo delle Tavole Input Output, che permettono di ricostruire i coefficienti di attivazione, Nomisma ha potuto stimare come l’impatto indiretto sul sistema Paese delle Fab13 valga quasi 21mila addetti, a cui va ad aggiungersi un effetto indotto di altri 24mila occupati, per un totale di quasi 60mila addetti, direttamente o indirettamente impiegati lungo le attività della filiera farmaceutica.