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Categoria: Numeri

Legno-arredo, oltre 49 miliardi di fatturato nel 2021

La ripresa del settore legno arredo avviata già negli ultimi mesi del 2020 viene confermata dai consuntivi 2021 elaborati dal centro studi FederlegnoArredo. Il fatturato alla produzione dell’intero settore, pari a 49,3 miliardi di euro, è aumentato complessivamente in valore del 25,5% sul 2020, confermando la doppia cifra anche sul 2019, con un +14%, pari a circa 6 miliardi in più di fatturato, e un saldo commerciale di 8,2 miliardi. A determinare il dato complessivo è l’andamento delle esportazioni, che rappresentano il 37% del fatturato totale, per un valore pari a oltre 18 miliardi di euro (+20,6% sul 2020 e +7,3% sul 2019). Ma soprattutto la dinamicità del mercato italiano, che ha sfiorato i 31 miliardi di euro (+28,7% sul 2020), spinto indubbiamente dai bonus edilizi messi in campo dal Governo.

Il 2021 consolida la ripresa 

Il 2021 ha rappresentato, pur tra notevoli difficoltà, un anno importante nel consolidamento della ripresa del settore. E per l’Italia questo ha significato anche una rinvigorita dinamica delle esportazioni.  Considerando la situazione attuale diventa però difficile azzardare previsioni per il 2022.
“Il rischio concreto è che una brusca frenata nei consumi e il clima di incertezza e preoccupazione dovuto alla guerra in Ucraina, vanifichi il recupero del 2021 – sottolinea FederlegnoArredo -. Ciononostante, l’impegno delle imprese è sempre rivolto alla ricerca di prodotti e materiali innovativi, nuovi mercati, e un nuovo sviluppo del settore che ha nella sostenibilità un elemento imprescindibile per la competitività”.

La crisi in Ucraina peggiora lo scenario

“Purtroppo – spiega Claudio Feltrin, presidente di FederlegnoArredo – la crisi in Ucraina ha peggiorato lo scenario, portando a ulteriori aumenti delle materie prime e a una grave carenza di legno, che proviene in gran parte proprio dai territori interessati direttamente o indirettamente dal conflitto, per un valore complessivo che supera i 200 milioni di euro all’anno. Basti pensare che con l’ultimo pacchetto di sanzioni europee verso la Russia è vietato acquistare, importare o trasferire nell’Unione, direttamente o indirettamente, se sono originari della Russia o sono esportati dalla Russia, legno, carbone di legna e lavori di legno di qualsiasi specie legnosa”.

Il momento opportuno per diventare più autonomi

“Siamo pertanto convinti che questo sia il momento opportuno, e non più rimandabile, per diventare più autonomi mettendo da subito in atto le azioni necessarie per il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla Strategia forestale nazionale, basata su una gestione rispettosa dell’ambiente, sullo sviluppo della filiera italiana del bosco e delle nostre segherie – rimarca Feltrin, come riferisce Italpress-. I dati dell’export confermano che l’Europa è ancora il bacino più importante per il legno-arredo e dobbiamo difendere assolutamente questo primato, cercando di consolidarci sempre di più anche negli Stati Uniti, e tenendo d’occhio il colosso cinese, che ha registrato un +9,4% sul 2019, ma che può contemporaneamente diventare un temibile competitor in grado di acquistare materia prima a prezzi per noi improponibili”.

Imprese femminili: in Italia sono solo il 22%

A febbraio 2022 le imprese femminili sono 1.381.987, ma rappresentano solo il 22% delle imprese italiane. Il 76% è una Ditta Individuale, il 15% è una Società di Capitale, l’8% Società di Persone e un 1% è rappresentato da Associazioni iscritte in CCIAA (enti, fondazioni e società anonime). Quanto all’incidenza delle imprese femminili rispetto al totale delle imprese, le forme giuridiche con la quota più alta sono Società di persone (27%) e Ditte Individuali (26%). Si tratta di alcune evidenze emerse dall’analisi di CRIF condotta per comprendere lo stato dell’arte dell’imprenditoria femminile in Italia e quali sono le potenzialità messe a disposizione dal PNRR.
“In questa direzione va il decreto del 24 novembre 2021 che ha integrato le risorse a sostegno con i 400 milioni di euro previsti dall’investimento 1.2 ‘Creazione di imprese femminili’ dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, commenta Gaia Cioci, Senior Director di CRIF. 

La presenza ‘rosa’ nei diversi settori

Analizzando l’incidenza di imprese femminili nei vari settori economici, lo studio di CRIF presenta una situazione estremamente variegata. In dettaglio, il 40% delle imprese che operano nel settore dei lavori domestici è femminile, così come il 38% di quelle attive nella sanità, mentre quasi 1 impresa su 3 è femminile nei servizi di alloggio e ristorazione e di istruzione. Seguono, per incidenza, i settori agricoltura, attività immobiliare, noleggio e agenzie di viaggio e attività artistiche. L’attività manifatturiera e i servizi di informazione e comunicazione sono riconducibili nel 18% dei casi a imprese femminili. Alcuni settori rimangono però ancora appannaggio quasi totale di imprese maschili, come nel caso dell’estrazione di minerali, fornitura di energia elettrica, fornitura di acqua e costruzioni.

La distribuzione sul territorio

L’analisi territoriale mostra una distribuzione sufficientemente equilibrata tra tutte le regioni del Paese.
Quelle con la maggiore concentrazione di imprese femminili sono Basilicata, Molise, Umbria, con un’incidenza del 25% sul totale, seguite da Abruzzo, Calabria, Liguria, Sicilia e Valle d’Aosta con il 24%. Lombardia e Trentino Alto Adige registrano invece solo il 19% di imprese “rosa”, pur essendo regioni a elevata imprenditorialità. Discorso analogo per il Veneto, con il 20% di imprese femminili.

Digital attitude e investimenti previsti dal PNRR

L’investimento 1.2 dedicato alla Creazione di imprese femminili previsto dal PNRR si prefigge di sostenere la realizzazione di progetti aziendali innovativi per imprese già costituite e operanti a conduzione femminile, o prevalente partecipazione femminile, quali, ad esempio, la digitalizzazione delle linee di produzione o il passaggio all’energia verde. Per fotografare lo stato dell’arte CRIF ha sviluppato algoritmi basati sull’AI in grado di misurare il livello di digital attitude delle imprese, integrati all’interno della piattaforma proprietaria di marketing intelligence. Nello specifico, dal profiling delle imprese femminili emerge che l’88% di queste si caratterizza per una bassa digitalizzazione, contro un 61% della media nazionale. Inoltre, nelle fasce con livello medio-alto e alto di digitalizzazione ricade solo il 5% di imprese femminili, contro un 16,7% delle imprese totali.

Le famiglie ricominciano a chiedere prestiti, meno bene i mutui

Bene i prestiti, meno i mutui: sembra essere questo il primo bilancio dell’inizio del 2022. Il nuovo anno, infatti, si è aperto con una nuova contrazione del numero di richieste di mutui immobiliari, che hanno fatto segnare un eloquente -28,2% dovuto in primis al ridimensionamento delle surroghe, controbilanciato dalla vivacità dei prestiti, che nel complesso di finanziamenti personali e finalizzati hanno visto un incremento del +22,1% rispetto al corrispondente mese del 2021. Sono questi i principali dati che emergono dal Barometro CRIF sull’andamento delle richieste di credito da parte delle famiglie nel mese di gennaio.

Che prestiti chiedono gli italiani?

Nel mese di gennaio il comparto vede un aumento del +27,0% delle richieste di prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi a fronte del +14,0% fatto segnare dai prestiti personali. Sulla dinamica in atto incide indubbiamente anche la costante crescita di richieste presentate da consumatori di età inferiore ai 35 anni, che nel complesso sono arrivati al 25,0% del totale (diventando così il segmento di popolazione maggiormente rappresentato, davanti ai 45-54enni, che pesano 24,4%). Un’ulteriore evidenza che emerge dallo studio di CRIF riguarda l’importo medio dei Prestiti richiesti, che nell’aggregato di personali e finalizzati nel primo mese dell’anno si è attestato a 8.191 Euro, -13,1% rispetto al valore del gennaio 2021 in virtù del peso crescente dei finanziamenti di piccolo taglio richiesti per sostenere acquisti di importo contenuto grazie ad offerte ancora vantaggiose. Entrando nel dettaglio, per quanto riguarda i prestiti finalizzati l’importo medio richiesto si è attestato a 5.535 Euro contro i 13.014 Euro dei prestiti personali.

Calano i mutui, ma cresce l’importo medio 

Come preannunciato, l’inizio dell’anno ha visto un calo nelle richieste di mutui, ma invece cresce a livelli record l’importo medio. In questo settore, dopo il calo fatto segnare nella seconda parte del 2021, anche il mese di gennaio resta in territorio negativo, con un -28,2%. In compenso a gennaio risulta in ulteriore crescita (+5,4%) l’importo medio dei mutui richiesti, che si è attestato a 143.030 Euro facendo segnare il record assoluto degli ultimi 10 anni. “Per quanto riguarda i mutui, il primo mese dell’anno ha fatto registrare un’accentuazione di alcuni trend già in atto negli ultimi trimestri” afferma Simone Capecchi, Executive Director di CRIF. “In particolare, l’andamento della domanda risente della contrazione del bacino di contratti per i quali risulta ancora conveniente la rinegoziazione e questo contribuisce anche a un innalzamento dell’importo medio richiesto. Al contempo, anche a gennaio si conferma la propensione degli italiani verso piani di rimborso più lunghi, con più dell’80% delle richieste che prevede una durata superiore ai 15 anni. L’incidenza degli under 35, infine, cresce ancora e arriva al 33,8% del totale contro il 29,5% di un anno fa”.

Auto, fine anno nero per per le immatricolazioni

Soprattutto per colpa degli effetti della pandemia, a cui si aggiunge la carenza di semiconduttori, il mercato dell’auto fatica a riprendere quota a livello europeo. I numeri degli ultimi mesi non sono rosei nel Vecchio Continente, fatta eccezione per l’Italia dove la passione per la macchina di proprietà non sembra diminuire, anzi, soprattutto nei mesi finali del 2021. A dare i numeri del comparto è l’Acea, l’associazione delle case automobilistiche europee, che afferma che nell’ultimo anno quasi tutti paesi hanno visto cali importanti.

Flessioni a doppia cifra

Complessivamente, nell’Unione Europea le immatricolazioni di autovetture a dicembre sono diminuite del 22,8% a 795.295 unità, in calo per il sesto mese consecutivo. Ancora, riferisce il report, la maggior parte dei mercati ha subito cali a doppia cifra, compresi i quattro principali: Italia (-27,5%), Germania (-26,9%), Spagna (-18,7%) e Francia (-15,1%). Registrano invece dati in controtendenza solo Bulgaria, Croazia, Lettonia e Slovenia.
In totale, riporta ancora la nota ripresa da Askanews, nel 2021, le vendite di auto nell’Ue sono diminuite del 2,4% a 9,7 milioni di unità, peggiorando il record negativo del 2020 causato dalla pandemia. A pesare, spiega l’Acea, è stata la carenza di semiconduttori che ha avuto un impatto negativo sulla produzione durante tutto l’anno, ma soprattutto durante la seconda metà del 2021. In termini di volumi, lo scorso anno sono mancate all’appello 3,3 milioni di immatricolazioni rispetto ai livelli pre-crisi del 2019.

L’andamento sui 12 mesi premia l’Italia

Guardando all’intero anno, fra i quattro principali mercati dell’Ue, solo la Germania ha registrato un calo (-10,1%) nel 2021. Al contrario, l’Italia ha registrato l’aumento più alto (+5,5%), seguita da Spagna (+1,0%) e Francia ( +0,5%). Ma quali sono le marche di automobili preferite dai compratori dell’Unione Europea? Al primo posto di questa classifica delle case auto si piazza Volkswagen, che nel 2021 raggiunge una quota di mercato del 25,1% e 2,43 milioni di auto vendute (-4,8%). Dopo la tedesca, si collocano Stellantis al 21,9% con 2,12 milioni di auto vendute (-2,1%) e Renault al 10,6% con un milione di auto vendute (-10,2%). Percentuali tutte in positivo per la questa classifica, Hyundai, che grazie a una forte crescita guadagna una quota di mercato dell’8,5% con 828mila auto vendute (+18,4%).

Gli automobilisti italiani spendono in media 1.296 euro per il carburante

La spesa degli automobilisti italiani per il carburante è ingente: per rifornirsi alla pompa gli italiani pagano in media 1.296 euro l’anno. Negli scorsi mesi gli automobilisti italiani hanno dovuto fare i conti con il caro-carburante. Da un’indagine commissionata da Facile.it e MiaCar.it agli istituti mUp Research e Norstat, emerge come il 72% degli intervistati dichiari di aver cercato di ridurre gli spostamenti in auto proprio a causa dell’aumento dei prezzi. Di fatto, si legge nell’indagine, il conto più salato è quello che ricade sugli automobilisti residenti nel Centro Italia (1.356 euro), mentre quello più leggero spetta invece agli automobilisti del Nord Est (1.152 euro). Per fortuna, nelle ultime settimane i costi di diesel e benzina hanno iniziato a diminuire, anche se non di molto.

Chi spende di più
Guardando ai risultati dell’indagine emergono alcuni dati legati all’uso dell’auto. Ad esempio, gli uomini, che percorrono in media 12.441 chilometri l’anno a fronte dei 10.973 km del campione femminile, mettono a budget circa 1.404 euro l’anno, vale a dire il 18% in più rispetto alle donne (1.188 euro). Dal punto di vista anagrafico, invece, sono gli automobilisti con età compresa tra i 35 e i 44 anni a spendere di più (1.428 euro l’anno), mentre gli over 65 sono quelli che spendono meno (1.056 euro).

Si cerca di usare meno l’auto per risparmiare
Ma quali effetti ha la decisione di usare meno l’auto per via dei costi del carburante? In base all’indagine, tra i 25 milioni di italiani che hanno preso questa decisione il 43,1% ha dichiarato di aver eliminato gli spostamenti superflui, il 28,4% ha scelto di muoversi a piedi anziché sulle quattro ruote e il 13,5%, semplicemente, ha optato per i mezzi pubblici. I più attenti al budget, e quindi coloro che stanno cercando di ridurre maggiormente l’uso dell’auto, sono risultati i giovani con età compresa tra i 25 e i 34 anni (76,6%), e gli automobilisti residenti al Sud e nelle Isole (76,1%).

L’assicurazione nel 2021 costa meno
Se il 2021 è stato un anno negativo dal punto di vista dei costi di rifornimento, la buona notizia è che l’altra voce di spesa che grava sul budget degli automobilisti, l’assicurazione, è rimasta su livelli estremamente bassi per tutto l’anno. Secondo l’osservatorio RC auto di Facile.it, realizzato su un campione di oltre 9 milioni di preventivi, a novembre 2021 per assicurare un veicolo occorrevano, in media, 436,03 euro, vale a dire l’8,17% in meno rispetto allo stesso mese dello scorso anno.

L’e-commerce in Italia cresce del 15% nel terzo trimestre 2021

Nel terzo trimestre del 2021 l’Italia conferma la propensione allo shopping online e supera il dato globale, cresciuto dell’11%, segnando una crescita complessiva del 15%. Le abitudini di acquisto digitale formate durante la pandemia sono diventate una vera e propria costante. E per la stagione dello shopping natalizio 2021, secondo le previsioni sui comportamenti di acquisto dei consumatori, le vendite digitali a livello globale supereranno il trilione di dollari. Si prevede però che consumatori, rivenditori e fornitori dovranno fare fronte a costi crescenti e scorte di magazzino in diminuzione a causa della forte pressione sulla supply chain. È quanto emerge dai dati relativi al terzo trimestre del 2021 dello Shopping Index, il report trimestrale di Salesforce sui trend dello shopping online.

In Italia il traffico aumenta dell’1%

Se in Italia il commercio digitale nel terzo trimestre 2021 è cresciuto del 15%, la crescita complessiva del traffico cresce dell’1%, in controtendenza rispetto al calo del 2% a livello globale. L’Italia però resta tra i paesi con i tassi di conversione, ovvero il rapporto tra traffico online e ordini, più bassi al mondo (1,2%) insieme a Spagna e America Latina. Di fatto, in Italia il traffico e-commerce generato dai social media è pari all’11% e supera la media globale, dove il dato è stabile all’9%. Se a livello globale, il traffico social generato da tablet ha registrato la crescita maggiore (con un aumento del 4% rispetto al terzo trimestre 2020), in Italia il device che fa da padrone, e che genera più traffico, è invece lo smartphone (13%), un dato coerente e in linea con i dati del il terzo trimestre 2020.

Le previsioni per lo shopping natalizio

Secondo le previsioni di Salesforce sui comportamenti di acquisto dei consumatori, per la stagione dello shopping natalizio 2021 a livello globale si prevede una crescita complessiva del 7% del commercio digitale. Per i mesi di novembre e dicembre le vendite digitali totali raggiungeranno il record di 1,2 trilioni di dollari a livello globale, e la crescita del commercio digitale sarà trainata da un aumento del 20% dei prezzi al dettaglio, nonostante sia previsto un minor numero di ordini (-2%).

Aumento dei costi: le ripercussioni su rivenditori, fornitori e consumatori 

Quest’anno l’aumento dei costi sembra essere in primo piano per rivenditori, fornitori e consumatori. Per i primi due sono tre i fattori che esercitano una pressione significativa sulla catena di approvvigionamento: la capacità produttiva, i costi della logistica e la carenza di manodopera.
Inoltre, i problemi di inventario e l’aumento dei costi di produzione faranno lievitare l’inflazione e ridurranno i margini, generando un conseguente aumento dei prezzi al dettaglio. I consumatori quindi vedranno aumentare i prezzi del 20%. Per fare fronte a questo aumento l’utilizzo della modalità di pagamento ‘compra ora, paga dopo’ rappresenterà probabilmente l’8% degli ordini online, per un totale di spesa di circa 96 miliardi a livello globale, rispetto al 4% degli ordini nello stesso periodo nel 2020.

In 25 anni il Sud Italia perde 1,6 milioni di giovani

Eccesso di burocrazia, illegalità diffusa, carenze infrastrutturali e una minore qualità del capitale umano sono i gap strutturali del Sud Italia rispetto al Nord, e che di fatto hanno determinato negli ultimi 25 anni una perdita di popolazione, soprattutto giovanile, quantificabile in -1,6 milioni di individui. La riduzione degli occupati e i deficit di lungo corso hanno causato al Sud un continuo e progressivo calo del Pil ampliando ulteriormente il divario con le altre aree del Paese. È quanto emerge da un’analisi condotta dall’Ufficio Studi Confcommercio sul tema ‘economia e occupazione al Sud dal 1995 a oggi’.

Il Pil al Sud si è ridotto di due punti

In 25 anni, infatti, il peso percentuale della ricchezza prodotta dall’area meridionale (Pil) sul totale del territorio italiano si è ridotto di due punti, passando da poco più del 24% nel 1995 al 22% del 2020. Il Pil pro capite invece non ha subito variazioni, ed è sempre rimasto circa la metà di quello prodotto dal Nord Italia. In particolare, nel 2020 è risultato pari a 18.200 euro, contro 34.300 euro del Nord-Ovest e 32.900 euro del Nord-Est.

Difficile migliorare il benessere economico/sociale nel Mezzogiorno

Se nel complesso l’Italia perde 1,4 milioni di giovani nel periodo considerato, ovvero, da poco più di 11 milioni (1995) a poco meno di 10 milioni (2020), si tratta principalmente di giovani meridionali. Mentre nelle altre ripartizioni il livello assoluto, così come la quota di giovani rispetto alla popolazione di qualsiasi età, restano più o meno costanti, nel Mezzogiorno si registra un crollo. Rispetto al 1995, al Sud mancano oltre 1,6 milioni di giovani. In queste condizioni, anche l’eventuale, sebbene improbabile, rapida risoluzione del problema della produttività potrebbe risultare insufficiente a migliorare il processo di costruzione di benessere economico/sociale del Mezzogiorno, almeno in termini aggregati.

Si spera nei circa 82 miliardi di risorse destinate al Sud del PNRR

Se il Prodotto interno lordo del Sud in poco più di venti anni è passato da oltre il 24% al 22% sul totale del Paese le ragioni sono molteplici, ma per Confcommercio le principali sono due, riporta Italpress. Ovvero, la decrescente produttività totale dei fattori, conseguenza dei gap di contesto che affliggono le economie delle regioni meridionali, e la riduzione degli occupati, conseguenza della riduzione della popolazione residente.
“Rilancio dell’economia, grazie ai vaccini, e piano nazionale di ripresa sono un’opportunità irripetibile per il nostro Mezzogiorno – commenta il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli -. In particolare, le risorse del PNRR destinate al Sud, circa 82 miliardi, permettono di sviluppare e innovare le infrastrutture di quest’area. E migliori infrastrutture significano anche migliore offerta turistica, la straordinaria risorsa del Meridione”.

Confcommercio e CDP, un protocollo d’intesa a sostegno delle Pmi

Confcommercio ha avviato una collaborazione con Cassa Depositi e Prestiti (CDP) per attuare una serie di iniziative a supporto dell’attività delle Piccole e medie imprese associate, dal sostegno al credito alla promozione delle attività commerciali negli interventi di edilizia sociale e rigenerazione urbana. Tra gli ambiti di approfondimento e valutazione individuati nel protocollo d’intesa siglato tra le parti ce ne sono sei di particolare interesse: Fund raising, Basket Bond, Corporate lending, strumenti di credito agevolato e, appunto, di edilizia sociale e rigenerazione urbana. Il protocollo, si legge in una nota di Confcommercio, ha natura non vincolante, e la concreta attuazione di ogni singola iniziativa sarà regolata da appositi accordi vincolanti tra le relative parti.

Fund raising e Basket Bond su operatività del Fondo di garanzia per le Pmi

Nell’ambito del protocollo, Cassa Depositi e Prestiti potrebbe costituire una sottosezione del Fondo Pmi in modo da permettere la concessione di nuove e maggiori garanzie a favore delle imprese associate a Confcommercio che rispettano i parametri di accesso al FondoI.

Inoltre, CDP potrebbe intervenire come investitore di riferimento per la costituzione di una protezione a copertura delle prime perdite (Basket Bond), in caso di eventuali inadempimenti dei prenditori finali, nel contesto di operazioni per favorire le emissioni di mini bond da parte delle imprese.

Corporate lending e linee di garanzia fino all’80%

A supporto degli investimenti e dei processi di crescita, anche internazionale, delle imprese, CDP potrebbe intervenire con iniziative di corporate lending per finanziare in via diretta imprese associate con fatturati elevati per investimenti finalizzati, tra l’altro, a ricerca, innovazione, valorizzazione del patrimonio culturale, ambiente ed energia. Cassa Depositi e Prestiti potrebbe anche intervenire con iniziative di garanzia di su portafogli di nuove esposizioni originate da banche e/o confidi. CDP potrebbe concedere linee di garanzia fino all’80% su portafogli di nuovi finanziamenti o garanzie originati da banche o confidi del sistema per favorire l’accesso al credito delle imprese.

Strumenti di credito agevolato

Sarebbero poi possibili finanziamenti a tassi agevolati a medio-lungo termine da parte di CDP, in sinergia con il sistema bancario, mediante il Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e agli investimenti in ricerca (FRI). Quanto al supporto per l’edilizia sociale e la rigenerazione urbana, CDP potrà valutare con Confcommercio la fattibilità di iniziative per promuovere l’insediamento di attività commerciali negli interventi di edilizia sociale e di rigenerazione urbana promossi dal Gruppo CDP.

Il mercato dei mutui nel 2020, +2,8% di richieste

Nel 2020 il mercato dei mutui immobiliari registra una crescita delle richieste del +2,8%. Una crescita spinta dal boom delle surroghe e da tassi di interesse estremamente appetibili, che hanno stimolato le famiglie a rinegoziare anche i contratti stipulati di recente. È quanto emerge dal Barometro di CRIF, ovvero l’analisi sul patrimonio informativo di EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF.

“Il risultato conferma la solidità del comparto, nonostante l’andamento negativo del credito alle famiglie nel suo complesso – commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF – fortemente condizionato dall’emergenza pandemica e dalle restrizioni fisiche imposte con i lockdown”.

Soluzioni in grado di pesare il meno possibile sul bilancio familiare

Nel complesso, l’importo dei mutui richiesti negli ultimi anni è costantemente cresciuto, facendo segnare nel 2020 il picco degli ultimi 10 anni. Segnali incoraggianti per il comparto arrivano anche dall’andamento dell’importo medio richiesto, che seppur condizionato dall’elevata incidenza dei mutui di sostituzione, si è attestato a 133.577 euro, in crescita del +2,0% rispetto all’anno precedente, quando era fermo a 130.976 euro. Quanto agli importi, quasi i 3/4 delle richieste presenta un’entità sotto i 150.000 euro, a conferma della propensione delle famiglie a orientarsi verso soluzioni in grado di pesare il meno possibile sul bilancio familiare.

Distribuzione per fascia di importo, durata ed età

La distribuzione per fasce di importo nel 2020 è rimasta pressoché stabile rispetto all’anno precedente, con una lieve contrazione delle richieste nella classe inferiore ai 75.000 euro (22,6% contro il 24% del 2019), compensata da una equivalente crescita nella classe tra 150.000 e 300.000 euro. Anche la durata delle richieste conferma la propensione delle famiglie a spalmare il piano di rimborso su un arco temporale di lungo periodo: nel 2020, infatti, oltre il 76% delle richieste di mutuo si è caratterizzato per una durata superiore ai 15 anni. Per quanto riguarda la distribuzione delle interrogazioni in relazione all’età del richiedente emerge uno scenario in linea con quello dell’anno precedente, con al primo posto la fascia compresa tra i 35 e i 44 anni (33,8% del totale).

Nel 2021 un progressivo recupero delle richieste

Sulla base di un’analisi previsionale prodotta da CRIF e SDA Bocconi, in assenza di ulteriori shock, causati ad esempio da una terza ondata di contagi, per il 2021 ci si aspetta un progressivo recupero delle richieste di mutui, con una variazione positiva tra il +11% e il +26%, con un picco negativo del -5% in caso di scenario meno favorevole.

“Seppur con una partenza lenta, le previsioni per il 2021 vedono una crescita del ricorso al credito immobiliare da parte delle famiglie – aggiunge Capecchi – favorita dall’auspicato miglioramento dello scenario economico e dalla crescente propensione a valutare l’acquisto di abitazioni più confortevoli in virtù delle nuove esigenze abitative emerse durante i periodi di restrizione che hanno obbligato gli italiani a restare in casa”.

Istat: il mercato del lavoro nel terzo trimestre dell’anno

L’emergenza sanitaria continua a influenzare le dinamiche del mercato del lavoro. Nel terzo trimestre 2020 si assiste però a un forte recupero congiunturale dei livelli di attività economica. Secondo i dati divulgati dall’Istat, l’input di lavoro, misurato dalle ore lavorate, pur risultando ancora inferiore ai livelli registrati nello stesso periodo del 2019 (-5,9%) registra una ripresa del +21,0% rispetto al trimestre precedente. Dopo la consistente contrazione della prima metà dell’anno il Pil mostra invece una crescita congiunturale del 15,9%, e un calo tendenziale del 5%.

Il tasso di occupazione sale al 57,9%

Dal lato dell’offerta di lavoro il numero di occupati torna a crescere in termini congiunturali (+56mila, +0,2%), per effetto di un aumento dei dipendenti più consistente del calo degli indipendenti. Il tasso di occupazione sale al 57,9% (+0,2 punti rispetto al secondo trimestre), con il Mezzogiorno che registra la crescita più marcata (+0,6%). Rispetto al terzo trimestre 2019, il numero di occupati è però inferiore di 622 mila unità (-2,6% in un anno): diminuiscono soprattutto i dipendenti a termine (-449 mila, -14,1%), continuano a diminuire gli indipendenti (-218 mila, -4,1%), mentre aumentano lievemente i dipendenti a tempo indeterminato. Il calo interessa sia gli occupati a tempo pieno sia quelli a tempo parziale, tra i quali l’incidenza del part time involontario si attesta al 66,4%.

Aumentano le ore lavorate

Dal lato delle imprese la ripresa dei ritmi produttivi nei mesi estivi ha determinato un generale miglioramento della domanda di lavoro, con un recupero delle posizioni lavorative dipendenti su base congiunturale pari a +2,2% e un deciso rallentamento della caduta in termini tendenziali, che in questo trimestre si attesta a -1,9% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente. Tale recupero si associa al marcato aumento delle ore lavorate per dipendente, pari a 29,1% su base congiunturale, e a un significativo contenimento della diminuzione tendenziale, pari a -4,8%.

In termini congiunturali diminuisce il costo del lavoro

Il ricorso alla cassa integrazione registra una variazione tendenziale positiva, decisamente inferiore a quelle del trimestre precedente, pari a 80,9 ore ogni mille ore lavorate. Il tasso dei posti vacanti aumenta dello 0,2% su base congiunturale e diminuisce dello 0,3% su base annua. Si osserva infine, in termini congiunturali, un decremento del costo del lavoro pari a -4,8%, dovuto alla diminuzione sia delle retribuzioni (-5,0%) sia degli oneri sociali del (-4,2%). In termini tendenziali il costo del lavoro registra un aumento dell’1%, con una variazione positiva dello 0,9% per le retribuzioni e dell’1,2% per gli oneri.